L’addolorata di Kiev

Un pullman con 52 persone dall’Ucraina è arrivato questo pomeriggio a Trento, il Lungadige Monte Grappa

Nella notte di sette giorni fa – e sembra un anno – il cuore del mondo è stato trafitto. Già provato dall’ansia per lontane minacce, ora è devastato dall’ angoscia: sirene laceranti, rimbombo di esplosioni, carri armati che avanzano carichi di morte… È anche il cuore della nostra vicina di casa, originaria di un sobborgo di Kiev.

Con altre badanti era tornata anche lei alla veglia per la pace, qualche sera fa in Duomo. Si era inginocchiata davanti all’altare dell’Addolorata, il primo a destra in fondo, e affidava i suoi familiari a quel viso materno rigato di lacrime, che settant’anni fa accoglieva le invocazioni di tanti trentini (lo racconta nel suo diario anche Chiara Lubich) atterriti dalle bombe sopra la città. Allora come oggi: dove trovare rifugio? in cosa sperare?

“Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi”. Condivide il lamento ma anche la fiducia del salmista, la signora venuta da Kiev. E forse trova consolazione nella certezza che il suo Signore soffre e piange con lei, si schiera con gli innocenti più indifesi. La sorregge soprattutto la fede insegnata dalla nonna e conservata all’estero grazie alle proprie compagne con le quali anche domattina tornerà al lavoro, a servizio dei nostri anziani. Così intanto affronta il tempo infinito di questa notte che per i suoi cari a Kiev è ancora fredda, buia e soffocante come deve essere l’aria di una metropolitana-rifugio.

La consolazione della fede non le basta, certo. La stessa badante ucraina, infatti, l’abbiamo rivista anche il giorno dopo in piazza Dante a manifestare dietro un cartello dalle scritte in cirillico che chiedevano giustizia: si era fatta solidarietà in persona, manifestava una pace a portata di mano, mai perduta per sempre.

“Vedete questo sacerdote – ha detto il Papa mercoledì all’udienza generale – i suoi genitori sono in questo momento nei rifugi sotto terra per difendersi dalle bombe in un posto vicino a Kiev. E lui continua a fare il suo dovere qui con noi. Accompagnando lui, accompagniamo tutto il popolo ucraino che sta soffrendo per i bombardamenti. Portiamo nel cuore questo popolo!“. Con la guida di Francesco dentro la Quaresima di preghiera riprendiamo tra i bollettini di guerra le pagine di un Vangelo esigente e incoraggiante. Ci chiede affidamento umile, ma ci esorta anche a non rimanere indifferenti. Ci invita a stare sempre dalla parte delle vittime, a dare un giudizio lucido sulle responsabilità dell’aggressore, a “non identificare mai i popoli con il regime”, come ha scritto Vincenzo Passerini nel numero scorso. E a riconoscere nel passato la sottovalutazione dei problemi, complicità pericolosa, tolleranza nel commercio delle armi.

Pur nella complessità di una situazione caotica e paradossale come ogni guerra, chiediamo anche noi profondità di giudizio e necessarie distinzioni, senza limitarci a condanne superficiali.

Traduciamo la preghiera in gesti di pace con la vicinanza a fratelli e sorelle dell’est in Trentino, accoglienza pronta ai rifugiati, raccolte di aiuti. Ma anche attenzione a chi è più debole, ai bambini che avvertono il clima ansiogeno (e non possono capirne le ragioni). O agli anziani che risentono i brividi delle bombe sul “Pont dei Vodi”.

La sapienza dei salmi – pure ispirati da situazioni di guerra – ci richiama ad essere solerti nel dare aiuto, ma anche pazienti nel sostenere le vie del dialogo.

Che “sporca faccenda” questa prima guerra europea del ventunesimo secolo scoppiata mentre ancora ci attanaglia la pandemia! Ci impone serietà d’impegno e anche una necessaria dose di serenità: preghiamo di riceverla in dono per poterla moltiplicare.

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