Guerra in Ucraina, “I popoli non vanno mai identificati col regime”

Sabato 5 marzo, a Brentonico, una serata per approfondire il conflitto Russia-Ucraina con Raffaele Crocco, direttore dell’Atlante delle Guerre

Sventoliamo idealmente la bandiera della pace davanti ai carri armati russi che hanno invaso l’Ucraina e gridiamo a gran voce: Tornatevene a casa! Basta guerra! Basta guerra!

Quei carri armati ci hanno ricordato le immagini lugubri di altre invasioni russe: l’Ungheria nel ‘56, la Cecoslovacchia nel ‘68, l’Afghanistan nel ‘79.

Cosa ne è rimasto? Macerie umane e politiche, e morti. E profughi. Anche di questa guerra resteranno soltanto alla fine macerie umane e politiche. E morti, e profughi.

Ricordiamo le parole del premio Nobel per la pace 2021, il coraggioso giornalista russo Dmitri Muratov, odiato da Putin, nel discorso di ricevimento del premio il 10 dicembre scorso (lo potete leggere sul mio blog www.itlodeo.info): “Nel nostro paese (e non solo) è comune pensare che i politici che evitano lo spargimento di sangue siano deboli. Mentre minacciare il mondo con la guerra è il dovere dei veri patrioti. I potenti promuovono attivamente l’idea della guerra. Il marketing aggressivo della guerra influenza le persone ed esse cominciano a pensare che la guerra è accettabile… Per di più, nelle teste di alcuni pazzi geopolitici, una guerra tra Russia e Ucraina non è più qualcosa di impossibile. Ma io so che le guerre finiscono con l’identificazione dei cadaveri dei soldati e lo scambio di prigionieri.”

Muratov, pressoché ignorato in Italia, anche dai pacifisti, è il direttore della “Novaja Gazeta”, il giornale sul quale pubblicava i suoi memorabili reportage dalle feroci guerre nel Caucaso Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, che scriveva la verità sulle repressioni disumane dell’esercito e le uccisioni dei difensori dei diritti umani e diceva di Putin che “una volta diventato presidente non ha saputo estirpare il colonnello del Kgb che vive in lui”. Putin è da 22 anni al potere. La solitudine del comandante unico della nazione non ci è mai parsa così arrogante quanto patetica come in quelle immagini televisive di lui seduto a un capo di quel tavolo lungo lungo che parla e pontifica e racconta la sua versione della storia. Quanti anni durerà ancora? E cosa lascerà? Altri e più potenti di lui hanno visto i loro monumenti, materiali e ideali, ben presto scaraventati a terra e frantumati.

Ma la Russia è un pezzo di anima dell’Europa, anima culturale e spirituale, e noi soffriamo non solo, in primo luogo, con gli ucraini aggrediti dal regime prepotente, ma soffriamo anche per il popolo russo e con il popolo russo. Non vogliamo una nuovo cortina di ferro. Non vogliamo guerre con la Russia. L’abbiamo anche invasa noi italiani-fascisti con i tedeschi-nazisti, invece di stare a casa nostra. E abbiamo avuto bisogno anche dei russi-sovietici per liberarci dai nazisti con cui ci eravamo alleati. Non abbiamo, noi, una storia innocente. E non possiamo guardare nessuno dall’alto in basso come fanno tanti commentatori politici sempre pronti, a base di una storia monca, a ricordare le invasioni e i crimini altrui e a dimenticare invasioni e crimini, spesso orrendi, nostri (in Africa, in Francia, in Grecia, in Jugoslavia, in Russia). Non abbiamo solo bisogno del gas russo, ma della Russia. Del suo immenso patrimonio culturale e spirituale, che rappresenta, come diceva Papa Giovanni Paolo II, l’altra metà dell’Europa. L’imperialismo criminale di Putin non può farci dimenticare questo. I popoli, e quello che custodiscono, non possono mai essere identificati col regime del momento.

Il populismo, il nazionalismo, il militarismo, queste tre malattie mortali della politica, hanno rovinato come non mai la convivenza dentro i Paesi, anche il nostro, e tra i Paesi in questi anni. E non solo per colpa di Putin. Anche l’Occidente ne è responsabile. Demagogie populiste hanno avvelenato la vita quotidiana dei cittadini, alimentando le loro paure contro gli altri, in primo luogo gli stranieri, diffondendo sentimenti di odio, di paura e di insicurezza. Il nazionalismo, che non è l’amore per il proprio Paese ma l’esaltazione del proprio Paese contro gli altri Paesi, ha moltiplicato fili spinati e muri ai confini. Il militarismo, terza s sciagurata malattia, spinto dall’industria delle armi e da politici tanto arroganti quanto incapaci, è cresciuto ovunque e la forza delle armi è tornata a prendere il posto della politica.

Non dimentichiamo che le spese per armamenti della Russia rappresentano il 3% (60 miliardi di dollari) della spesa mondiale, mentre quelle degli Stati Uniti raggiungono il 29% (778 miliardi di dollari) e quelle della Cina il 13% (252 miliardi), come documenta Riccardo Sorrentino su “Il Sole 24 ore” di oggi, per chi scrive (mercoledì 22 febbraio 2022). Il commercio internazionale di armi è andato crescendo in questi anni con le sue cifre miliardarie spaventose e per responsabilità in primo luogo dell’Occidente.

Anche l’Italia fa sempre più affari in questo sciagurato settore. Ed è emblematico, di questa forza delle armi e di debolezza della politica, che un potente politico di sinistra come l’ex ministro Marco Minniti abbia abbandonato lo scorso anno il seggio di deputato del Pd per andare a fare il consulente di Leonardo, la fabbrica statale italiana di armamenti, una delle maggiori al mondo.

Ma quello di cui abbiamo bisogno, invece, è esattamente l’opposto: più politica e meno armi. Più capacità di costruire fiducia per stabilire relazioni internazionali di convivenza e non di scontro e di continue esibizioni muscolari a suon di carri armati e missili e satelliti e portaerei. Più sapienza politica e visione.

Se la politica ristabilirà condizioni di fiducia e credibilità, allora, anche la guerra in Ucraina sarà spenta e si tornerà agli accordi di Minsk del 2014 e 2015. Quegli accordi che prevedono per il Donbass uno statuto speciale di autonomia che garantisca i diritti della minoranza russa all’interno dell’intangibilità dei confini nazionali sanciti da un referendum col 90% dei consensi. Uno statuto speciale che, come nel caso del Trentino-Alto Adige, attenua il confine nazionale rispettandolo.

Gli accordi di Minsk, purtroppo, si sono rivelati deboli, fragili, con un ancoraggio internazionale insufficiente e scarsa volontà da ambedue le parti di attuarli. Ma dai quali inevitabilmente si dovrà ripartire, quando l’intelligenza della politica tornerà a prendere il sopravvento sulla stupidità funesta delle armi.

La storia dell’autonomia speciale del Trentino e dell’Alto Adige ci insegna molte cose al riguardo. Ci insegna che occorrono, appunto, un solido ancoraggio internazionale, istituzioni autorevoli, organismi bilaterali e multilaterali che affrontino sistematicamente i problemi vecchi e nuovi, e poi pazienza, tempo, e molta, molta fiducia reciproca. Non ci sono alternative. La pace e la convivenza, lo sappiamo anche per la storia di questa nostra piccola regione europea di confine, sono costruzione complesse e faticose. Qui si vede di che cosa è capace la politica. Ma, come diceva ancora Dmitri Muratov nel suo magnifico discorso del Nobel, “non è forse una grande ambizione per dei politici o dei giornalisti quella di creare un mondo senza note ‘morto in battaglia?’”.

Vincenzo Passerini cura il blog itlodeo.info

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