La guerra e le urne, mentre le riforme urgono

Il dibattito sulla guerra è sempre meno in mano ai partiti e sempre più legato agli spettacoli dei talk televisivi. Si tratta di uno dei tanti indizi sulla mancanza di presa della politica sul pubblico più ampio. Non che manchino interventi più o meno forti di questo o quel leader, di questo o quel politico in cerca di qualche notorietà, ma tutto scivola via senza incidere veramente. Salvini aveva provato per primo a cavalcare l’onda con sceneggiate che pensava fossero d’impatto, ma poi si è ritirato in buon ordine visto lo scarso successo. Adesso ci prova Giuseppe Conte che cerca di blindare i residui consensi ai Cinque Stelle tornando al populismo delle origini che contiene l’asfittico pacifismo antiamericano a prescindere e saldandolo con la retorica degli investimenti sociali prima di quelli sulle armi. Sono chiacchiere e la gente se ne accorge.

Intanto i partiti dovrebbero attrezzarsi per le elezioni amministrative ora fissate per il prossimo 12 giugno (con eventuale secondo turno il 26). Ci sarebbero anche i referendum, ma per adesso l’attenzione per quel che succede in Ucraina impedisce che questi facciano notizia e del resto sono questioni importanti, ma non semplici da spiegare al grande pubblico che le vede come lontane dai suoi interessi quotidiani. Non sarebbe proprio così, ma questo è il sentimento pubblico.

Il clima bellico non consente di trasformare l’appuntamento in una prova generale delle prossime elezioni nazionali. Lo saranno inevitabilmente, ma, se non cambia il contesto, più nelle interpretazioni che verranno date dei risultati che non nella creazione preventiva del clima generale da prova suprema sullo stato di salute del nostro sistema politico. Era sembrato potesse essere così fino al 24 febbraio quando l’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato le carte in tavola.

I partiti faticano a picconare il governo, ma molti altrettanto a sostenerlo: farlo cadere sarebbe letto dalla gente come irresponsabile, però quelli che aspirano ad imporsi sulla scena futura, come Lega e M5S (ma non solo), sono restii a concedere a Draghi un ulteriore progresso nel suo accreditamento presso la pubblica opinione. Così si naviga sott’acqua con battaglie nelle aule parlamentari (specie in sede di commissione) per tenersi buoni gruppi sociali determinati: così è nelle diatribe sulle riforme della giustizia, CSM in primis, dove si parla al mondo dei magistrati, degli avvocati e di quelli che colla giustizia ci devono fare i conti per forza (amministratori e imprenditori di vario grado); così è sulla riforma fiscale, specie sul capitolo del catasto dove si devono favorire le rendite immobiliari (e non certo i normali proprietari delle case di abitazione).

Naturalmente tutto questo si intreccia con la spinosa questione del PNRR e del suo finanziamento. Qui non solo se non facciamo le riforme su cui l’Italia si è impegnata non arriveranno le quote di finanziamento previste (pericolo reale visto che la UE è sotto pressione per intervenire a sostegno dei guasti provocati dalla guerra), ma stiamo realizzando che i Comuni, su cui grava il maggior onere progettuale per “mettere a terra” gli interventi, non sono in grado di farlo in un numero molto grande di casi. Per non parlare della più generale difficoltà di trovare concorrenti che si presentino ai bandi già avviati, perché basati su indici dei prezzi che con la crisi attuale non sono più realistici (e con una certa aria di crisi politica si è restii a rischiare in operazioni in mano comunque alle burocrazie).

A livello delle elezioni amministrative tutti sono soggetti al ricatto del sistema elettorale maggioritario per i sindaci. Questo al momento favorisce il centrosinistra, perché i Cinque Stelle, deboli a livello locale, si accodano volentieri al PD per ottenere posti che altrimenti non avrebbero (e lo stesso vale per LeU). Il centrodestra che secondo i sondaggi sarebbe in vantaggio, fatica invece a trovare l’accordo fra le componenti per la concorrenza fra Salvini e Meloni e con FI che vorrebbe più visibilità. Sarà interessante vedere come gli elettori reagiranno a questa confusione che interessa tutte le forze in campo.

Andare alle elezioni nazionali in un quadro del genere preoccupa i partiti, che però non sanno come uscirne. Sarebbe saggio e rispettoso degli elettori procedere con una riforma elettorale che preveda un sistema proporzionale ben temperato, così ciascuno si presenta con la sua faccia senza pastrocchi per tenere insieme gli opposti e le varie utopie, ma non c’è volontà comune attorno ad un progetto: i tempi per l’operazione sarebbero molto stretti e con gli ingorghi attuali non c’è da contare sulla disciplina dei parlamentari.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina