Gli scogli delle riforme minacciano la navigazione

La prima pagina del quotidiano “Il Tempo” di martedì 19 aprile

Questa è una settimana importante. Decisiva sarebbe dire troppo. Si devono infatti affrontare gli scogli della riforma del sistema giudiziario e di quella del fisco, due temi sui quali le divisioni all’interno della variegata, e anche abbastanza sgangherata maggioranza che regge il governo non sono poche.

Certi partiti sembrano per la classica posizione di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca: piantare le loro bandierine scassando la tenuta della coalizione, ma senza far cadere il governo, per la banalissima ragione che una crisi in questo momento sarebbe pesante da sopportare e certo non porterebbe bene sul piano elettorale a chi la promuove. Poi, siccome siamo al solito gioco dello scambiarsi il cerino, non mancano i tentativi di spingere l’avversario oltre il baratro nella speranza di trarre il massimo giovamento dalla sua caduta.

Draghi è consapevole del rischio e sta cercando di stabilizzare la situazione per quanto possibile. Lo ha fatto con la sua intervista di Pasqua dove ha provato a smorzare le polemiche ricordando il molto che si è fatto e soprattutto ha offerto ai partiti la prospettiva della fine del suo mandato speciale con la stessa legislatura da portare però a termine. Insomma lui non ha nessuna intenzione di fare il Monti 2.0 (che fra il resto non è neppure un grande esempio di successo).

Basterà a convincere le forze politiche ad aderire al proseguimento della tregua per un altro anno, visto che la legislatura terminerà a primavera 2023? C’è da dubitarne, perché la situazione complessiva rimane tesa, il futuro per il nostro Paese è incerto (non sappiamo quanto davvero peserà sulla gente la vicenda bellica in Ucraina), le coalizioni fra i partiti, necessarie se non si cambia legge elettorale, in sensibili travagli. Certo non poco dipenderà dall’esito delle amministrative di giugno, con in aggiunta la variabile dei referendum, ma al momento non sembra che si avranno esiti capaci di raffreddare le pulsioni allo scontro fra le diverse componenti politiche.

C’è da aspettarsi un risultato che piuttosto rilancerà la convinzione che ormai sia necessario andare ad uno scontro finale e questo probabilmente non tanto fra le componenti del nostro pasticciato e immaginario bipolarismo, quanto fra tutti i partiti che devono misurare ciascuno il grado reale di consenso di cui godono nel Paese. Questo dovrebbe far propendere per un ritorno ad un sistema elettorale di tipo proporzionale, ma è una soluzione molto temuta.

In quel caso ogni partito sarebbe costretto a rispondere fino in fondo delle sue scelte e in un quadro molto fluido ed incerto come l’attuale ciò può far saltare più di un gruppo dirigente. Con un sistema a coalizioni, per quanto confuse e litigiose, anzi forse proprio per questo, ognuno può scaricare la colpa per le perdite sugli alleati. Per dire dei due casi più semplici da analizzare, Salvini potrebbe imputare una contrazione dei suoi voti alla politica della Meloni o al tiepido appoggio di una parte di Forza Italia. Conte potrebbe dire che i Cinque Stelle perdono perché una parte del loro elettorato non sopporta la politica del PD lettiano o la presenza di qualche componente più centrista. Del resto dinamiche simili si possono vedere anche nei gruppi dirigenti degli altri partiti.

Nel contesto di un sistema elettorale di tipo proporzionale se si perde il gruppo dirigente ne risponde e poiché al momento nessuno di questi è in posizione molto salda (con la parziale eccezione di Letta e della Meloni) il problema non è piccolo. Vale specialmente per la Lega e il M5S che sembrano al momento quelli più a rischio di ridimensionamento sensibile con leadership che sono in discussione all’interno dei rispettivi gruppi dirigenti.

Draghi ha tutte le ragioni nel prospettare ai partiti gli effetti disastrosi che in questo momento avrebbe un indebolimento dell’azione di governo. Si rifletterebbe sulla gestione del PNRR che è ancora più di ieri una risorsa chiave per affrontare una fase che non sarà solo di ripresa economica, come si pensava un anno fa, ma anche di contenimento della crisi indotta dalle conseguenze della guerra in Ucraina (la cui soluzione non sembra vicina e che comunque ha già cambiato in maniera per il momento stabile il quadro del sistema internazionale).

Invitare i partiti a concentrarsi piuttosto su un confronto costruttivo nella competizione per la stabilizzazione del quadro politico nella prossima legislatura dopo aver messo a terra il PNRR è cosa di buon senso, ma necessiterebbe di trovare interlocutori con adeguate capacità di ascolto.

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