Vincere la pace è possibile, la via negoziale la priorità

Una fossa comune a Bucha, 4 aprile 2022. Foto Ansa/ Sir

“Fermatevi” è il grido di papa Francesco di fronte al prolungarsi e all’ampliarsi della guerra in Ucraina. Un appello lanciato fino dall’inizio delle ostilità, ma che oggi alla luce della crescente distruzione di vite umane e di infrastrutture si è fatto ancora più urgente e drammatico.

In effetti, dopo oltre due mesi di conflitto la situazione si è notevolmente aggravata. Vi è la sensazione che l’invasione russa dell’Ucraina si stia trasformando in una guerra fra Occidente e Oriente dell’Europa. Un rischio che non si era palesato neppure ai tempi della cortina di ferro, quando a confrontarsi erano Nato e Patto di Varsavia.

Eppure oggi il clima è proprio quello di una progressiva estensione di una guerra che all’inizio sembrava limitarsi all’assurda pretesa di Vladimir Putin di inglobare nella grande Madre Russia l’intera Ucraina. Un non-stato, che doveva essere sottratto alle mire espansionistiche della Nato e dell’UE. Insomma una semplice estensione territoriale della Russia.

In questa farneticazione storico-culturale dello zar di Mosca era caduto all’inizio del conflitto anche il presidente americano Joe Biden. Oltre ad avere dichiarato che qualche aggiustamento territoriale ad est dell’Ucraina, nel Donbass, poteva essere considerato accettabile, Biden offriva anche di fare espatriare il presidente Volodymyr Zelensky non appena cominciato l’attacco alla capitale Kyiv.

Nessuno in occidente si aspettava una tale capacità di resistenza da parte del popolo ucraino e una leadership così autorevole e coraggiosa come quella dimostrata da Zelensky. Se Putin non considerava l’Ucraina uno stato sovrano, ecco emergere dalla guerra esattamente l’opposto: un Paese in grado di resistere alle mire annessionistiche di Mosca. Certo, le armi fornite dagli occidentali già negli anni antecedenti il conflitto e il continuo trasferimento di nuovi equipaggiamenti militari hanno reso possibile questa inaspettata lotta di resistenza. E’ tuttavia con la strage di Bucha ad opera delle milizie russe che la guerra ha fatto un salto di qualità. Anche gli stati europei più prudenti e reticenti, come la Germania, hanno deciso di trasferire armi sempre più sofisticate ed efficaci per respingere le truppe russe. Ma, soprattutto, a cambiare atteggiamento sono stati gli americani che, dopo le titubanze iniziali di non volere coinvolgere in nessun modo la Nato, rifiutando anche la richiesta di Zelensky di interdire ai russi i cieli dell’Ucraina, hanno deciso di affrontare direttamente Putin. Non solo hanno guidato gli occidentali nel varare le più severe sanzioni economiche mai adottate nel secondo dopoguerra, ma si sono addirittura spinti a sostenere la teoria che l’Ucraina potesse vincere la guerra. è quanto è emerso dalla recente riunione di Ramstein in Germania allorquando di fronte ai rappresentanti di 40 Paesi alleati, il segretario alla difesa americano, Lloyd Austin, ha indicato come obiettivo finale quello di indebolire militarmente la Russia.

Una sfida chiaramente inaccettabile per Putin, che dopo avere clamorosamente perso la blitzkrieg contro Kyiv, non può perdere del tutto la faccia nei confronti del suo establishment.

Ma allora, come è possibile raggiungere la pace o, almeno, un primo essenziale cessate il fuoco per avviare il dialogo? A preoccupare, infatti, non è solo la guerra in atto, ma la completa mancanza di prospettive per un percorso politico e diplomatico che porti ad una soluzione negoziata del conflitto.

Da questo punto di vista le minacce dell’America contro Putin non aiutano molto, se non vengono accompagnate anche da una parallela proposta di volontà negoziale. è evidente che in vista di un negoziato le due parti cerchino di mettersi nella posizione di maggiore vantaggio possibile e che usino tutti i mezzi, comprese le minacce, per ottenere il risultato migliore. Ma dove stanno gli argomenti per avviare il negoziato?

All’inizio della guerra Zelensky aveva proposto la neutralità dell’Ucraina, il riconoscimento della Crimea e una soluzione autonoma per le due province del Donbass. Oggi invece il piatto negoziale è desolatamente vuoto.

Vale davvero la pena appesantire il clima con riunioni così larghe e minacciose come quella di Ramstein? Vale la pena offrire oggi alle neutrali Finlandia e Svezia una rapida adesione alla Nato? Siamo davvero sicuri che gli interessi dell’Unione europea coincidano oggi con l’atteggiamento di sfida di Washington? Non proprio. La via negoziale è la nostra priorità e finalmente a ribadirlo è ricomparso dopo un lungo silenzio Emmanuel Macron, in qualità di presidente di turno del Consiglio UE, con una lunga telefonata a Vladimir Putin. Certo non basta, se è vero che un negoziato ha ragione di essere avviato solo se Zelensky e Putin decideranno di sedersi intorno ad un tavolo. Ma è altrettanto vero che l’UE può e deve essere una parte essenziale in un tale eventuale tavolo. Anzi, dovrebbe premere molto di più perché i due contendenti decidano di sedersi e discutere. L’UE con il suo peso economico può infatti offrire all’Ucraina un grande patto di ricostruzione e associazione e alla Russia una futura cancellazione delle durissime sanzioni economiche. Ma deve farlo portando avanti una propria linea politica, non necessariamente coincidente con quella Usa.

Vincere la guerra non può più essere oggi l’obiettivo realistico di Putin, dopo i numerosi rovesci militari di questi mesi; neppure lo può essere per Zelensky. Ma vincere la pace è ancora possibile.

vitaTrentina

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