Così Putin “resuscita” l’allargamento UE

Nel Consiglio Europeo di questo fine settimana, fra i tanti temi di grande rilievo, uno è particolarmente importante e politicamente delicato: l’avvio del processo di adesione all’Unione europea dell’Ucraina. Una novità assoluta, poiché si tratta di un paese in guerra e come tale sottoposto ad un regime di emergenza, dove molte delle libertà democratiche sono sospese o limitate. è quindi abbastanza evidente che non si tratta di un impegno “normale” di allargamento dell’UE. Si tratta invece di una forte risposta alla sfida geostrategica che Vladimir Putin ha lanciato all’intera Europa: ridefinire i confini e le sovranità nazionali attraverso l’uso della forza e dell’aggressione militare. Paradossalmente, quindi, con l’invasione dell’Ucraina lo “zar” del Cremlino ha riportato in primo piano il tema dell’allargamento dell’UE che da alcuni anni sembrava morto e sepolto. Strana storia quella dell’allargamento progressivo della vecchia Comunità europea a 6 fino a raggiungere nei decenni la ragguardevole cifra di ben 28 stati membri, diminuiti poi a 27 con la Brexit (nel 2015). In effetti, la politica di allargamento è stata considerata per lungo tempo uno dei maggiori successi dell’azione di politica “estera” dell’Unione. Da una parte ha sottolineato il grande potere di attrazione del processo di integrazione europea. Dall’altra ha contribuito a consolidare i sistemi democratici di paesi che uscivano da dittature o da regimi autoritari. Così all’inizio degli anni ’80 hanno trovato rifugio nella grande democrazia europea la Grecia scampata al governo dei colonnelli, la Spagna e il Portogallo dopo la fine delle rispettive dittature fasciste. Parimenti nel 2004 si sono aperte le porte dell’UE ad un numero consistente di paesi dell’Est Europa nel pieno della loro transizione democratica dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che ne aveva soffocato la sovranità nazionale sotto il regime dispotico della Russia comunista. Ma se questi sono stati gli aspetti maggiormente positivi dell’allargamento, ben presto sono emersi anche alcuni fattori estremamente problematici in termini di “digestione” di un così grande numero di nuovi membri. In particolare ci si è resi conto che i meccanismi decisionali dell’UE non funzionavano più. Il voto all’unanimità, ma non solo, ha dimostrato la precarietà di questa grande Unione. Da parecchi anni, quindi, di allargamento si è cercato di non parlarne più, anche perché nel frattempo l’UE ha subìto un primo abbandono, la Gran Bretagna, e contemporaneamente non è riuscita a proteggere i valori democratici in alcuni paesi membri, fra cui Ungheria e Polonia, due dei maggiori stati usciti dal giogo sovietico. Nel frattempo la lista dei paesi in attesa di entrare nell’UE o di ottenere lo status di candidato all’adesione si è ampliato. Basti pensare ai 6 paesi dei Balcani occidentali ancora appesi a negoziati che non procedono o non iniziano mai e alla Turchia, che ormai è scomparsa dall’orizzonte dei potenziali membri dell’UE, pur avendo iniziato i negoziati da oltre 20 anni. Oggi il Consiglio europeo deve quindi decidere come comportarsi con l’Ucraina, cui si aggiungono la Moldavia e la Georgia, tutti e tre minacciati dalle mire espansionistiche di Mosca. Per cercare di mettere un po’ d’ordine in questa problematica agenda i 27 governi dell’UE hanno quindi deciso di incontrare, nel primo giorno del Consiglio, i 6 paesi dei Balcani per rassicurarli che la concessione dello status di nuovi candidati ai 3 governi dei paesi in questione non sarà fatto a loro detrimento, ma anzi servirà ad accelerare e rinverdire l’intero processo di allargamento. Assicurazione poco credibile poiché su questa posizione non tutti i paesi dell’UE sono allineati. Anzi, i dubbi su questa mossa nei confronti dell’Ucraina non fanno che aumentare. Lo si vede da proposte un po’ confuse che escono da un paese da sempre scettico sull’allargamento, la Francia. L’appena rieletto presidente Emmanuel Macron, che è anche presidente di turno dell’UE, ha cercato di rassicurare la propria opinione pubblica interna, molto tiepida in termini di espansione dell’Ue, lanciando l’idea di una Comunità Politica Europea. Una specie di cerchio largo intorno all’UE dei 27 dentro cui fare confluire tutti i candidati all’adesione per consultarli sui grandi temi dell’UE, ma senza diritto di partecipare alle decisioni. Insomma, un modo per rinviare alle calende l’allargamento. Oltretutto la mossa altamente politica nei confronti dell’Ucraina solleva un altro grande problema. Può l’UE rimanere inerte allorquando un suo candidato viene aggredito militarmente? La risposta nel caso dell’Ucraina è stata chiaramente no. L’UE ha perfino finanziato, per la prima volta, l’invio di armi in soccorso di Kyiv. Ma sarà pronta a farlo anche un domani di fronte ad un’eventuale “operazione militare speciale” di Mosca nei confronti della Moldavia o della Georgia già aggredita nel 2008? è chiaro che tali eventualità impongono all’UE di accelerare la marcia verso una politica di difesa comune e di una profonda modifica delle procedure di decisione, eliminando del tutto il voto all’unanimità. Ma per eliminarlo occorre l’unanimità di tutti i 27. Un vero circolo vizioso. Concordiamo con Ursula von der Layen che “gli ucraini sono pronti a morire, ma noi vogliamo che essi vivano”. Ma allora i nostri impegni devono essere credibili e impongono ben più di una semplice promessa di diventare candidati all’adesione. Questa per l’UE è, come dicevamo, una vera sfida geopolitica in cui si ridefiniscono confini e sovranità e di cui l’allargamento è solo una piccola parte, ma molto impegnativa.

#Ue
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