La politica italiota e le mosche cocchiere

La crisi di governo a cui stiamo assistendo non è passeggera

Non è la solita tempesta in un bicchier d’acqua quella che sovrasta il governo Draghi, per quanto l’inconsistenza della polemica innescata dal premier Conte induca a considerarla tale. Il leader dei Cinque Stelle, acciaccato dalla scissione di Di Maio e seguaci, sta puntando ad ottenere un qualche successo di immagine mostrando quanto sia ancora in grado di condizionare il quadro politico. La maggior parte degli osservatori scommette che alla fine si accontenterà di qualche riconoscimento di facciata e già si ipotizzano quelli possibili: sul reddito di cittadinanza non si andrà oltre qualche modesto incremento dei controlli, sul superbonus al 110% si troverà modo di concedere qualcosa. Sulla questione del termovalorizzatore a Roma forse si darà al M5S la soddisfazione di votare contro sul punto allineandosi poi sulla fiducia al decreto Aiuti che contiene quel passaggio.

Il fatto è che per ragioni di spettacolo si è drammatizzato molto e a vanvera. I pasdaran pentastellati hanno diffuso la tesi che esista un partito che vuole uscire dal governo, cosa che, secondo loro, rinverdirebbe i successi elettorali. Per evitare il rischio il PD ha giustamente fatto notare che un M5S che si ponesse in posizione critica se non oppositiva al governo attuale non potrebbe più stare nel famoso “campo largo” lettiano. Nella contesa si sono infilati i sostenitori della solita svolta a sinistra che sognano una riedizione italiana dell’operazione di Melenchon in Francia: ammucchiata delle sigle e siglette di quell’area che ruoterebbero attorno al pacchetto di voti, che sembra ancora non piccolo, dei Cinque Stelle. Lasciamo perdere in questo caso il tema della plausibilità di Conte come guida carismatica di questa riemersione della cosiddetta nuova sinistra, ci limitiamo a ricordare che sino ad oggi non è che le scopiazzature di quel che accade in altri Paesi abbiano portato molta fortuna (qualcuno si ricorda dei sacri furori per Tsipras?).

Che cosa rende più complessa di quel che appare la gestione di questa ennesima versione della politica-spettacolo? Il fatto che gli altri partiti non possono certo star lì a guardare e che, d’altro canto, esistono anche delle regole della vita istituzionale che non si possono ridurre a carta straccia.

Sul primo punto è sin troppo facile ricordare che se Conte otterrà “soddisfazione” per le sue intemerate, altrettanto pretenderà quanto meno Salvini. Si dice che il leader della Lega abbia già avvertito Draghi che con la cerimonia di Pontida a metà settembre sarebbe cessato il leale sostegno all’attuale esecutivo (che sia stato leale lo afferma lui …). Non sappiamo quanto credito si può dare a questa informazione, ma certo Salvini non può accettare che un partito come il M5S, ora con numeri più o meno pari ai suoi, possa imporre le sue bandierine mentre a lui viene negato.

Ciò genera un effetto a cascata, perché in quest’ultimo caso le bandierine leghiste contrastano per amore di demagogia con quelle del PD. Infatti lo scontro è sul cosiddetto ius scholae, una norma necessaria e di buon senso per garantire l’integrazione ai giovani immigrati che hanno studiato nel nostro Paese. La misura è diventata un vessillo della sinistra, che, incautamente a nostro avviso, l’ha inserita in una filiera di diritti civili (cannabis, ddl Zan) la quale non è che sia proprio omogenea con il problema pressante di governare la politica dell’immigrazione.

Facile immaginare che di scontri del genere ne vedremo molti in una stagione ormai di campagna elettorale dove nessuno va tanto per il sottile, il che significa allargare gli spazi per i pasdaran dei rispettivi schieramenti. Non è però possibile immaginare che si possa rattoppare tutto con disinvolte operazioni istituzionali. Ci riferiamo alla tesi che si fa circolare per cui in realtà Draghi potrebbe restare al governo anche in presenza di uno smarcamento dei Cinque Stelle.

Il premier ha giustamente messo in rilievo che ciò non è accettabile, perché si andrebbe ad un mutamento della formula politica inventata da Mattarella, che è quella di un governo di tregua fra quasi tutte le forze politiche, proprio a cominciare da quel partito allora di maggioranza relativa che aveva nelle precedenti fasi della legislatura espresso il presidente del Consiglio. Un governo

Draghi che si mantenesse su una maggioranza garantita dagli scissionisti pentastellati diventerebbe inevitabilmente un governo a formula “politica” che richiederebbe quanto meno un nuovo passaggio di fiducia parlamentare con tutti i rischi del caso.

Si fa presto a dire che tutto sarebbe giustificato dalle condizioni certo non tranquillizzanti del contesto. Ma sarebbe comunque un artifizio, cosa che in politica di solito non porta bene.

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