Marmolada, l’omelia del vescovo Tisi: “Necessario un serio cammino di riconciliazione col creato”

Mons. Tisi durante l’omelia a Canazei

“Il silenzio è l’atteggiamento meno improprio per accostare il volto rigato dalle lacrime di quanti sono stati privati, in un attimo, della possibilità di dialogare, sorridere, far festa con i propri familiari ed amici”.

Queste le parole dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi nell’omelia della Messa celebrata oggi a Canazei per ricordare le vittime della tragedia della Marmolada, con il distacco, domenica 3 luglio, di un seracco glaciale. Monsignor Lauro Tisi ha celebrato la Messa assieme al vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol.

“L’intensità della sofferenza di queste ore domanda di misurare le parole – ha esordito monsignor Lauro Tisi – per non correre il rischio di ferire ulteriormente chi, da domenica scorsa, fa i conti con un dolore inconsolabile per la morte improvvisa e violenta degli affetti più cari”.

Non esistono parole per interpretare o contenere il dramma di questi giorni. “La Parola di Dio non offre spiegazioni al dolore – ha ammesso l’Arcivescovo di Trento -; racconta, invece, un Dio che ha il volto segnato dalle lacrime, prova paura e angoscia, sperimenta la morte. Invoco la sua compagnia e vicinanza per affrontare quest’ora tanto difficile”.

Un unico dolore che piange vite spezzate di “uomini e donne che non si conoscevano, dalla biografia differente, appartenenti a comunità diverse”.

Sono 11, come accertato questa mattina dal Ris di Parma, le vittime della tragedia della Marmolada. Non si arrestano però le operazioni di ricerca, come ha aggiunto in seguito il comandante Giampietro Lago, perché ogni prova potrebbe essere utile per le indagini.

Non c’è alternativa all’amore, ha proseguito monsignor Tisi nella sua omelia. “Accostando in punta di piedi e con grande discrezione la loro sofferenza – ha detto – ancora una volta sperimentiamo che a determinare la vita, a tenerla in piedi, a darle senso, altro non resta che l’amore. Nel loro volto carico di lacrime e angoscia, veniamo avvertiti: non c’è alternativa all’incontro, all’abbraccio, alla forza dirompente dello sguardo che si fa accoglienza. Questa è la via da percorrere se vogliamo offrire delicatamente una spalla a chi è schiacciato dalla sofferenza”.

Questo è il momento dell’azione. La Terra ci sta dando dei segnali, a noi il compito e la responsabilità di coglierli. Monsignor Tisi l’ha sottolineato nella conclusione della sua omelia, indicando la tragedia di domenica 3 luglio come un monito: “L’immagine della Marmolada sfregiata dalla valanga – ha affermato – chiama l’intera umanità a intraprendere un serio cammino di riconciliazione con il creato per tornare a custodirlo e a proteggerlo, come si fa con i fratelli e le sorelle. Chiediamo, come San Francesco, di poter davvero tornare a chiamare fratello e sorella la creazione”.

L’OMELIA DI MONSIGNOR LAURO TISI

L’intensità della sofferenza di queste ore domanda di misurare le parole per non correre il rischio di ferire ulteriormente chi, da domenica scorsa, fa i conti con un dolore inconsolabile per la morte improvvisa e violenta degli affetti più cari. Il silenzio è l’atteggiamento meno improprio per accostare il volto rigato dalle lacrime di quanti sono stati privati, in un attimo, della possibilità di dialogare, sorridere, far festa con i propri familiari ed amici.

Nessuna parola riesce ad interpretare e contenere il dramma che stiamo vivendo. La Parola di Dio non offre spiegazioni al dolore; racconta, invece, un Dio che ha il volto segnato dalle lacrime, prova paura e angoscia, sperimenta la morte. Invoco la sua compagnia e vicinanza per affrontare quest’ora tanto difficile.

Il ghiaccio ha spezzato la vita di uomini e donne che non si conoscevano, dalla biografia differente, appartenenti a comunità diverse, ma ora unico e identico è il dolore di chi li piange.

Accostando in punta di piedi e con grande discrezione la loro sofferenza, ancora una volta, sperimentiamo che a determinare la vita, a tenerla in piedi, a darle senso, altro non resta che l’amore. Nel loro volto carico di lacrime e angoscia, veniamo avvertiti: non c’è alternativa all’incontro, all’abbraccio, alla forza dirompente dello sguardo che si fa accoglienza. Questa è la via da percorrere se vogliamo offrire delicatamente una spalla a chi è schiacciato dalla sofferenza.

L’Uomo della croce, Cristo Gesù, con il suo morire abitato fin nelle sue ultime fibre dall’amore, ci offre una parola di vita: siamo fatti per amare, per divenire casa gli uni per gli altri, le acque tumultuose della vita non riusciranno a spegnere l’amore. Questa, ci ha ricordato il testo del Deuteronomio, è la parola non lontana, molto vicina, inscritta nel nostro essere profondo a cui siamo chiamati a dare obbedienza, mettendola in pratica.

L’impossibilità per qualunque parola di contenere e descrivere la vita di chi ci ha lasciato, mentre ne racconta la grandezza, apre alla speranza. Non solamente il cuore, infatti, ma la ragione stessa si ribella all’idea che il patrimonio inestimabile della loro vita, venga consegnata all’oblio del nulla. Oltre il guado della morte, questi nostri fratelli e sorelle, hanno trovato ad attenderli il Dio della vita che con la sua Resurrezione ha vinto la morte.

Per aprire un piccolo varco in quest’ora di fatica e di tenebra, vorrei farvi notare come la parabola evangelica del samaritano, in questi giorni, si è materializzata sotto i nostri occhi nei tanti uomini e donne che senza tregua si stanno prodigando nei soccorsi. Con il loro farsi vicino, generoso, attento e delicato, rischiando in prima persona, ci stanno offrendo una straordinaria lezione di generosità. La loro gratuità è davvero per noi olio e vino di consolazione e speranza.

Infine, l’immagine della Marmolada sfregiata dalla valanga, chiama l’intera umanità a intraprendere un serio cammino di riconciliazione con il creato per tornare a custodirlo e a proteggerlo, come si fa con i fratelli e le sorelle. Chiediamo, come San Francesco, di poter davvero tornare a chiamare fratello e sorella la creazione.

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