Farina del loro sacco

Il tradizionale numero di ferragosto, in edicola giovedì 11 agosto, sui mulini ad acqua

In un’Europa lacerata dalla guerra e in un’Italia avvelenata dalla campagna elettorale, questa pausa di Ferragosto ci assicura la protezione di Maria Assunta. Un sollievo vorrebbe portarlo anche questo atteso speciale, che trova nei mulini un simbolo di concordia e di rinascita.

Si riaprono tante porte dei nostri mulini, musei a cielo aperto rinfrescati da acque impetuose. Tornano a girare le loro ruote che si erano fermate qualche decennio fa, soppiantate dai motori elettrici e abbandonate insieme ai loro campi di grano. Documentiamo in questo numero monografico la realtà promettente di tanti mulini che hanno ripreso a funzionare: alcuni soltanto come ambienti d’incontro culturale e di valore didattico, molti altri come centri nevralgici di una filiera produttiva (da Cavedine alla val dei Mocheni) che si è rimessa in moto, privilegiando le qualità antiche e macinando una farina davvero doc.

Una tendenza anche italiana, sostenuta nella nostra provincia dalla rete degli Ecomusei e dall’esperienza del Museo degli Usi e Costumi di San Michele all’Adige, che vede spesso l’impegno di tante persone, di una comunità intera intorno al “suo” mulino. Come ci spiega l’esperta Antonella Mott nell’interessante dialogo con Marco Mazzurana “ogni mulino è un monumento a se stesso” e ci regala una scoperta diversa. Andando a visitare con il nostro fotografo Gianni Zotta quasi tutti i mulini trentini e leggendo le storie raccolte dai nostri corrispondenti abbiamo constatato direttamente che ogni realtà custodisce una fisionomia singolare, un segreto specifico: quanto succede attorno alle case dei mugnai è davvero “farina del loro sacco”.

Affondando nella notte dei tempi – come risulta dai disegni sulle piramidi egizie – e sviluppandosi poi nel Medioevo come narrano gli affreschi del “Ciclo dei Mesi” al Buonconsiglio, la lavorazione del grano è una parabola dell’ingegno contadino, capace di raggiungere vertici d’ingegneria e di manualità grezza. Lo ha documentato il pioniere dell’etnografia trentina, Giuseppe Šebesta, che nella sua fondamentale e annosa ricerca ha aperto “La via dei mulini”: con questo numero vorremmo scriverne, giornalisticamente, una pagina aggiornata, in grado di prefigurare anche una vita nuova per questi “luoghi di vita”, al pari delle fontane o dei capitelli. Andare al mulino – come testimoniano anche i proverbi – è diventata nei secoli un’occasione straordinaria di socialità, di scambio commerciale, ma anche relazionale. E se lo fosse ancora?

Il “successo” della recente Giornata europea dei Mulini ed il Premio nazionale meritato dal mulino pinetano di Faida rilanciano la fecondità culturale di questi opifici, soprattutto quando vengono collegati dai “restauratori” ad altri elementi della filiera produttiva (la coltivazione del frumento, le tecniche di panificazione, anche casalinga, la valorizzazione dei manufatti e degli strumenti agricoli…) in una logica di sistema che porta l’acqua (siccità permettendo) a far girare la ruota ed essa gli altri ingranaggi: sotto la regia di un mugnaio-proprietario accogliente – spesse erede di tradizione familiare – e dietro la spinta di una comunità che sente questo tesoro di legno anche come proprio.

Ha il profumo del pane fresco questo riavvio dei mulini e di un’economia rurale che porta con sé anche lentezza, condivisione, festa. D’altra parte il frumento buono (da tener separato dalla zizzania) e i magazzini pieni di grano ci accompagnano anche nelle parabole del Vangelo (come ci ricorda don Massimiliano Detassis nel suo contributo biblico), invitandoci a continuare a cercare le spighe che danno nutrimento alla nostra vita.

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