In Messico coi Pueblos Unidos indigeni: “L’acqua non si vende”

Nel Messico degli ammazzamenti facili – e quando s’inizia non è che si uccide una sola persona ma almeno una dozzina per volta, giusto per non lasciare testimoni che possano indirizzare le indagini sul luogo dell’eccidio -, dove la violenza generalizzata è perpetrata non solo dai tantissimi gruppi di narcotrafficanti, ma anche da settori corrotti della polizia e dalle bande paramilitari al soldo dei signorotti dei cartelli della droga, c’è posto anche per un risveglio indigeno che sta rilanciando le lotte comunitarie a difesa, nei casi più recenti, delle risorse idriche.

Carovane variopinte e volenterose hanno attraversato i diversi Stati qualche mese fa, e continuano tuttora i loro presidi a difesa dei diritti fondamentali. Si sono costituiti in Pueblos Unidos (i Popoli Uniti avevano il loro embrione di nascita nello Stato di Puebla) e, a proposito della difesa dell’acqua, bene comune per eccellenza, denunciano che “no es sequìa es saqueo”, “non è siccità, è saccheggio”. In ogni presidio comunitario – sugli altipiani e sulla costa, nella sierra e nelle invivibili e popolose periferie urbane – rivendicano gridando che “l’acqua non si vende, si ama e si difende”.

La cosa interessante è che il fenomeno della difesa dell’acqua si sta estendendo partendo da Puebla a Morelos, Tlaxcala, Veracruz, Guerrero, Città del Messico e Oaxaca in manifestazioni a raggiera che denotano una sempre maggiore consapevolezza che si tratta di una questione di vita o di morte, per sé e per i propri figli. A tal punto che se n’è preoccupato lo stesso presidente Lopez Obrador e non per estendere nell’opinione pubblica nazionale l’urgenza del problema sollevato dalle comunità indie quanto piuttosto per farlo diventare una questione esclusivamente di ordine pubblico a tal punto da aver allertato la polizia locale e la guardia nazionale come se tutto fosse ristretto entro i confini di sicurezza statale.

In realtà è vasto e variegato il fronte di lotta dei nativi: contestano di volta in volta, e sovente contemporaneamente, l’estendersi dell’agrobusiness, le discariche inquinanti, gli allevamenti intensivi. Una delle vertenze al centro dello scontro riguarda una centrale termoelettrica il cui gasdotto è stato costruito dall’italiana Bonatti, e in questo caso si contesta lo sfruttamento selvaggio dei corsi d’acqua e la pericolosità del gasdotto, vicino a dei vulcani molto attivi.

Come si vede sono due visioni del mondo diametralmente opposte quelle che confliggono (solo apparentemente si possono ridurre al binomio “modernità” e “tradizione”) e il coltello per il manico ce l’hanno i potenti di turno, tra cui Enel Green Power; ma anche gli indios si organizzano e non a caso prendono ad esempio per la difesa territoriale ed embrioni di autogoverno l’ispirazione dei caracoles zapatisti (che, come lumache, continuano un loro lento e metodico cammino di coscientizzazione e liberazione a cominciare dalla scuola accessibile a tutti); nonostante il tempo trascorso e i tentativi di soffocarlo, il movimento zapatista continua a essere un punto di riferimento non solo in Chiapas.

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