Con don Ivan una sincera amicizia

don Agostino Valentini e don Ivan Maffeis

Lunedì pomeriggio, davanti alla canonica di Villa Rendena, dove attualmente abito, si è fermato don Ivan, che dal paese natio di Pinzolo scendeva verso Trento. Nel breve momento di un abbraccio silenzioso e commovente per ambedue, nella mia mente si è snodato un film esistenziale con tanti fotogrammi di una sincera amicizia, che dura da quasi mezzo secolo: da quando l’ho visto entrare adolescente in seminario fino ai giorni recenti, passati con altri confratelli a Villa Moretta per partecipare al corso di “esercizi spirituali” condito dal solido alimento delle bibliche e sagge parole di don Lorenzo Zani.

Penso che anche la comune origine nella “piccola patria” della Val Rendena abbia la sua parte nel creare e consolidare questo legame di amicizia: in queste righe vorrei recuperare dalla memoria i molti anelli della catena che ci uniscono. Giorni fa, casualmente direi – ma certi fatti non sono mai per noi cristiani puro frutto del caso – mi è capitata in mano la foto scattata oltre trenta anni fa in Val San Valentino, dove avevo convocato per un pranzo di amicizia i sacerdoti diocesani “rendeneri”: allora, superavamo la ventina; ora, se la memoria non mi fa difetto, non arriviamo alla decina… e questo conteggio mi rende triste, se penso a quello che troverà don Ivan nell’Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, quanto a collaboratori sacerdoti.

Faccio scorrere velocemente il film dei ricordi che mi legano a don Ivan: dalla grande gioia provata al vedere un altro “rendenero” iniziare la sua formazione in seminario fino ad averlo poi come studente nei corsi teologici e per seguirlo, con crescente stima, fino alla sua ordinazione sacerdotale nella festa del patrono della diocesi san Vigilio, il 26 giugno 1988. Mentre egli viveva con entusiasmo i suoi primi passi di giovane sacerdote a Mori suggerii con discrezione all’arcivescovo Sartori di mandarlo a studiare a Roma… e mi è andata bene, perché il periodo degli studi nel cuore della Chiesa cattolica, e alla scuola dei Salesiani, è stata per lui la migliore premessa in vista del suo impegno, più che decennale, al servizio di tutta la Chiesa italiana presso la CEI.

Ho ancora vivo il ricordo di quando, insieme al rettore del Seminario don Piergiorgio Piechele e ad alcuni professori, andammo a Roma per assistere alla discussione della tesi di dottorato di don Ivan. Avvenne che, a discussione conclusa, il Rettore maggiore dei Salesiani, rivolgendosi a noi trentini, disse sorridendo, ma seriamente: “Se volete lasciarlo al nostro Ateneo può cominciare subito ad insegnare!” (ciò che poi fece davvero nei suoi anni romani). Fu quella la sua prima “fuga” da Roma: forse era troppo forte il richiamo del Trentino.

Non vorrei arrogarmi meriti, ma nonostante qualche difficoltà nei miei rapporti con l’arcivescovo Sartori – a quel tempo ero direttore di Vita Trentina e di Radio Studio 7 – andò a buon termine un ulteriore suggerimento: fargli fare un’esperienza da parroco per qualche anno, mentre assumeva anche l’incarico di professore in Seminario. Fu così che nei sei anni in cui fu parroco di Ravina, e poi anche di Romagnano, quasi a penitenza per la mia proposta, ogni domenica andavo ad aiutarlo in parrocchia per la Messa e mi prestavo per qualche servizio pastorale.

Con l’arrivo a Trento dell’arcivescovo Bressan la strada era spianata per passare a don Ivan, già vicedirettore, il testimone di direttore del settimanale e della radio diocesana, mentre io conservavo l’incarico diocesano di delegato per le comunicazioni sociali: il “condominio” funzionò benissimo, anche perché abitavamo nella stessa casa della Curia, accanto al nostro luogo di lavoro.

Quando dalla CEI richiesero la competenza di don Ivan per l’Ufficio comunicazioni sociali della Chiesa italiana vidi in questo incarico il passo ulteriore “ad maiora” e lo caldeggiai di tutto cuore. A Roma don Ivan svolse con entusiasmo e competenza i compiti sempre più gravosi che gli assegnarono. Dopo che il cardinale Bergoglio nel 2013 divenne Papa col nome di Francesco, ebbe caro avvalersi, in diverse occasioni, della saggia e discreta consulenza di don Ivan. A quel punto il suo destino era segnato: lo aspettava il servizio episcopale non come compimento di una brillante “carriera” ecclesiastica – perché un buon prete non dovrebbe mai cercare di “fare carriera” – ma come disponibilità al “servizio”, come chiede Gesù ai suoi discepoli.

A questo punto il film si interrompe e posso arrischiare soltanto delle supposizioni: non dispongo di confidenze personali per suffragarle. Subodorato il rischio dell’episcopato don Ivan chiede di rientrare in diocesi e si mette a servizio delle comunità parrocchiali che gravitano sulla parrocchia di San Marco a Rovereto. Qui, in meno di due anni, egli si merita la stima e l’affetto della gente.

Ma, come dice un antico adagio: l’uomo propone e Dio dispone. Ed è così che papa Francesco – forse su suggerimento del cardinale Bassetti, presidente della CEI e vescovo emerito di Perugia, con il quale don Ivan aveva lodevolmente collaborato negli ultimi anni – gli chiede di voler assumere il servizio episcopale nell’Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve. A quel punto un pronto “sì” non poteva più mancare; il suo servizio inizierà domenica 11 settembre con la consacrazione episcopale nella cattedrale di Perugia.

Tutta la Chiesa di san Vigilio è vicina in questi giorni a don Ivan ed eleva per lui una preghiera al buon Dio: “Stet et pascat in fortitudine tua, in sublimitate nominis tui”!

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