Doniamo all’Umbria un pastore nel solco di mons. Nicolini

Don Ivan durante l’incontro con i giovani, a Prepo, nella mattinata di domenica – Foto Gianni Zotta

D’ora in poi l’11 settembre non sarà più solo una data di lutto mondiale. Per la Chiesa trentina, che domenica ha accompagnato con preghiera affettuosa la consacrazione di don Ivan Maffeis arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, resterà un giorno di grazia e di gioia indelebile.

Un avvio che lascia immaginare l’intero episcopato, una tappa che fa sintesi di una “vita buona”, già ricca di grazia. Dai discorsi calibrati in ogni aggettivo ai gesti improvvisati come l’accompagnamento di una giovane in carrozzina: merita rivedersi i passaggi del suo ingresso in diocesi (il video è disponibile su Youtube grazie ai bravi colleghi perugini) così come rileggere queste pagine speciali di Vita Trentina, la palestra in cui il nostro ex direttore ha esercitato per quindici anni il talento comunicativo speso poi a servizio della Chiesa italiana.

Potremo così cogliere un aspetto misterioso della comunione nella Chiesa e fra le Chiese locali, di cui don Ivan in questi anni è stato davvero “segno eloquente”. Ad orientarlo e farlo crescere col soffio dello Spirito sono state sempre le comunità, partendo dalla sua famiglia per arrivare alle periferiche parrocchie trentine, da Mavignola a Terragnolo. Tanto che le ha volute ricordare nel suo meditato ringraziamento finale.

In questa prospettiva ecclesiale, “dietro” la nomina di don Ivan non c’è solo la “paterna amicizia” del cardinal Gualtiero Bassetti e nemmeno la scelta personale di papa Francesco che ha conosciuto “prudenza, mitezza e spirito di abnegazione” (come dice la bolla pontificia) di don Maffeis, il quale poi ha ringraziato il Santo Padre “per la tenerezza, l’affetto e la fiducia di cui negli anni mi ha sempre circondato”.

Prima di questo viene un contesto territoriale ed ecclesiale in cui si “manifestata la misericordia di Dio”. E così, il giovane prete che da ragazzo avrebbe voluto fare il missionario e che è stato inviato a Roma a imparare la comunicazione sociale, si è trovato inserito in percorso ecclesiale formativo e arricchente, segnato da viaggi all’estero e ritorni fra i monti, iniziative di carità e di frontiera, ma anche studi accademici e solide amicizie di vaticanisti. Fino agli ultimi due anni di generosa e convinta ripartenza dentro Rovereto e le sue parrocchie.

Ha conservato certo i suoi tratti più personali, il nostro caro don Ivan: come l’umile ritrosia con cui si è fatto piccolo salendo sulla cattedra della cattedrale di Perugia. Oppure come l’irresistibile autoironia con cui ha chiosato la lunghezza del rito: “La prossima volta saremo più brevi”.

Preme insistere sul fatto che il percorso ecclesiale del primo vescovo trentino donato ad un’altra Chiesa locale d’Italia (come diocesano, gli altri sono religiosi) ne fanno il dono di un intero territorio e di una precisa realtà di Chiesa locale: tanto che la nostra diocesi poi vorrebbe instaurare con la Chiesa sorella di Perugia – Città della Pieve rapporti costanti di collaborazione, come ha sottolineato mons. Tisi accompagnando la consegna delle reliquie dei nostri primi evangelizzatori.

La regione umbra aveva già stabilito un ponte con il Trentino attraverso la figura di un pastore coraggioso, che tanti assisani umbri – come lo stesso direttore di Avvenire Marco Tarquinio – hanno conosciuto da vicino e portano ancora nel cuore: mons. Giuseppe Placido Nicolini (1877-1973), vescovo di Assisi per oltre quarant’anni, ma nativo di di Villazzano (il sobborgo di Trento vi ha dedicato una piazza vicino alla casa natale).

Possiamo inserire i passi di don Maffeis dentro il solco che Nicolini ha lasciato, conquistando l’affetto dei parrocchiani, sviluppando un magistero solido (era docente di teologia) ma soprattutto dando prova di scelte a favore di poveri e di perseguitati dal regime: è noto in tutt’Italia per l’impegno profuso a favore degli Ebrei presenti nel nostro Paese durante la Seconda guerra mondiale. La sua azione coraggiosa ci è stata raccontata da Alexander Ramati nel libro e nel film “Assisi underground”.

Questo pastore, sinceramente fiero delle origini trentine (“sono figlio di contadini, so cosa significa raccogliere”, dice in una delle prima scene del film James Mason, l’attore che lo interpreta) ha saputo prendersi rischi personali pur di proteggere chi era in difficoltà, trasformando quest’opera di salvataggio degli Ebrei in una priorità delle priorità del suo ministero episcopale.
Riesce spontaneo vedere don Ivan dentro questo stile anche per la tenacia incrollabile che tutti gli riconoscono negli interventi a favore dei più deboli.

I suoi fedeli lo hanno visto da giovane parroco andare a richiedere in Comune soluzioni abitative per i Sinti e i Rom ospiti nel campo sosta di Ravina; lo abbiamo accompagnato a prendere un aereo per portare conforto in Africa ad un nostro missionario ingiustamente accusato e imprigionato nel carcere di Gibuti; tanti, ancora, lo hanno visto affrontare difficili mediazioni politiche con esponenti governativi per mettere fine ai respingimenti dei migranti sulle coste del Mediterraneo.

Il precedente storico del longevo vescovo di Assisi possa dare conforto anche al “giovane” pastore trentino di Perugia: lo accompagniamo con la preghiera.

 

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