Non è solo questione di sistemare le caselle dei ministri, a cui si aggiungeranno quelle dei viceministri e segretari (queste ultime ancor di più oggetto dell’appetito dei partiti perché sfuggono anche agli spazi di regolazione del Quirinale). Per i partiti c’è la questione della prossima tornata di elezioni amministrative, centrali quelle nel Lazio e in Lombardia.
Non sono problemi marginali, perché le poltrone governative sono importanti nell’immediato, ma il confronto che si avrà fra febbraio e aprile sarà letto come una conferma o meno della crisi di due partiti chiave e di qualche altro: il Lazio per il PD e il suo sgangherato campo largo, la Lombardia per la Lega e anche per Forza Italia.
Il Lazio per ovvie ragioni geografiche non è una regione marginale e per di più è stato sinora governato da Zingaretti, ex segretario PD, che ha operato in coalizione fortemente voluta con i Cinque Stelle e anche con Azione. Visto come è andata nelle elezioni del 25 settembre sembra difficile si possa vincere senza riproporre l’unità del fu centrosinistra, ma per ora né M5S né il gruppo Calenda-Renzi sembrano disponibili a stare nello stesso campo. Ovviamente un PD in forte fibrillazione, che affronterà quella prova elettorale in piena bagarre congressuale non è quel che si dice attrattivo. Per ragioni diverse i due fronti menzionati non hanno intenzione di legarsi ad un possibile perdente, privo fra il resto di un leader riconosciuto a livello regionale (i pretendenti sono almeno tre, ciascuno esponente di una fazione all’interno del PD). Andare da soli è senz’altro perdente tanto per i Cinque Stelle, quanto per il duo Calenda-Renzi, ma almeno salvaguardano una loro fisionomia nazionale.
La Lombardia è, manco a dirlo, la culla della Lega, ma è anche una regione dove Salvini ha perso un sacco di voti a favore di FdI. Lì c’è il problema di riconfermare l’attuale presidente Fontana, a suo tempo azzoppato da una gestione assai mediocre dell’emergenza Covid, ma oggi si può anche presumere che sia acqua passata. Lo insidia la sfida che gli pone la sua vice Letizia Moratti, che può porsi come espressione di un nuovo centrodestra più omogeneo al sentire della regione chiave dell’economia italiana, ma la cui vittoria evidenzierebbe ovviamente la fine dell’epoca d’oro del leghismo lombardo, il che sarebbe sicuramente un colpo mortale alla leadership di Salvini.
L’attuale maggioranza di vertice della Lega conta però su una opposizione che non viene considerata davvero competitiva. Il PD non ha molte carte da giocare: la ventilata candidatura di Cottarelli alla presidenza della regione non si sa quanto possa muovere il sostegno popolare (pochetto a giudicare da come è andato alle politiche), il traino di Sala a Milano non si capisce quanto possa essere decisivo, su una figura che potrebbe essere dirimente come il sindaco di Bergamo Gori non sembra che il partito sia interessato a puntare (lo considera un politico problematico e poco disposto a stare dentro le logiche della vecchia “ditta”).
Qui i Cinque Stelle contano poco, mentre Azione-IV, che si ritengono in espansione, sembrano poco interessati a sostenere un partito che da un lato giudicano in crisi e dall’altro li provoca rifiutandosi di riconoscere la loro importanza. Si dice che punterebbero piuttosto su una candidatura Moratti, che viene giudicata in sintonia con il loro retroterra di rappresentanza di certe dinamiche sociali, ma anche qui non si vede chi e come potrebbe mettere in campo la candidatura della attuale vice di Fontana.
Anche Forza Italia è un partito molto “lombardo”, ma ha paura a mettersi decisamente in contrasto con la Lega, perché così si consegnerebbe del tutto nelle mani di Giorgia Meloni, le cui intenzioni circa la vicenda di quelle regionali non sono affatto chiare. Del resto, ben più che sulla Lombardia FdI avrebbe qualcosa da dire sul Lazio che è una regione in cui è fortemente radicata, ma proprio questo spinge i suoi alleati a negoziare lo scambio: noi non ti facciamo problemi su Roma e dintorni e tu ci aiuti a mantenere il controllo su Milano e sulla sua regione.
È difficile immaginare che queste fibrillazioni non avranno ricadute sui primi mesi di vita del nuovo governo di destra-centro, sia per le difficoltà che arriveranno dalla maggioranza, sia per la situazione assai tesa delle opposizioni che le spingerà ad esasperare tutte le possibili conflittualità per ragioni di bandiera.
Come si capisce, una condizione che non aiuterà non solo a gestire l’iter della legge di bilancio, ma soprattutto il governo di una situazione economico-sociale che si preannuncia più che complicata.
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