Una coalizione poco coesa stila la lista dei ministri

I negoziati per la composizione dei governi di coalizione sono sempre stati problematici, tanto nella prima quanto nella seconda repubblica. Si tratta non solo di spartirsi posti attraverso i quali si fa lobbismo e si raccolgono consensi (anche distribuendo risorse), ma soprattutto di proiettare all’esterno l’immagine del “peso” che ha ciascuno dei partecipanti all’intesa.

In quanto sta accadendo in queste settimane ci sono tutte quelle componenti, ma c’è anche il problema di definire chi ha il potere di conferire la fisionomia alla coalizione vincitrice. Come si sa, Berlusconi aveva puntato ad essere lui quello che garantiva la curvatura moderata ed europeista dell’intesa di governo, una sorta di grande saggio che guidava giovani emergenti non molto avvezzi alle sottigliezze della preminenza politica. è finita con la plateale immagine della sua senilità non proprio saggia e la mezza resa a riconoscere che era Giorgia Meloni la leader del momento, la quale ritiene, non a torto, di non avere alcun bisogno della garanzia esterna dell’ex primo ministro.

Il signore di Arcore sta ancora cercando di tenere duro sul punto del ministero della Giustizia. Dubitiamo che possa spuntarla, per la banale ragione che è troppo evidente il suo “interesse personale” nella faccenda (troppo vivo il ricordo delle leggi ad personam) e che questo aprirebbe un conflitto con la magistratura, cosa di cui Meloni non ha proprio bisogno. Del resto Berlusconi non ha alternative allo stare nel governo. Se non lo facesse, non solo perderebbe posizioni di potere, ma rischierebbe di veder sfaldarsi il suo partito poco disposto ad immolarsi per aprire la strada ad una crisi istituzionale pericolosa (alternative spendibili non ce ne sono e senza governo, con il contesto che abbiamo davanti, significherebbe condannare il paese al fallimento).

Certo il leader di FI cerca di piazzare una spina nel fianco del futuro esecutivo con la nomina di Licia Ronzulli a capogruppo al Senato. Visto come sono andate le cose, c’è da scommettere che non perderà occasione di fare qualche dispetto a Meloni che ne ha bloccato l’ascesa, ma, almeno per un po’, non potrà spingersi a mettere in crisi il governo (per le ragioni di cui sopra).

In verità a nostro giudizio il vero problema per la probabile futura presidente del Consiglio è Salvini. Per rompere il suo asse con Berlusconi ha dovuto concedergli molto. è vero che lo ha bloccato nella sua aspirazione a tornare al Viminale, ma era un gioco di specchi perché tutti sapevano che Mattarella non lo avrebbe fatto passare. Gli ha però concesso, oltre ad un ministero che ha soldi e opportunità da distribuire (le Infrastrutture), il ruolo di vicepremier. Ora certamente non potrà svolgerlo come fece nel Conte 1, perché il premier questa volta non è più uno “inventato” su due piedi, ma potrà continuare a fare l’uomo degli show parlando in qualche misura a nome del governo. Considerando come gestisce queste pulsioni allo spettacolo, Meloni avrà di che preoccuparsi.

Consideriamo poi che la spartizione delle spoglie derivanti dalla vittoria elettorale non si conclude con la lista dei ministri. Ci saranno poi da nominare 5 viceministri e 35 sottosegretari (ammesso che i numeri non vengano aumentati, il che non è impossibile).

Quello è il terreno classico delle lotte oltre che fra i partiti, fra le correnti e le “tribù” interne agli stessi. In questo caso il potere del Quirinale è quasi inesistente, perché formalmente è il Presidente del Consiglio che nomina a quelle cariche, mentre per i partiti e i loro gruppi poter piazzare alle costole di un certo ministro qualcuno che in parte lo controlli e in parte distribuisca lui le risorse disponibili non è cosa di scarso peso.

Meloni se vuole iniziare una stagione che duri, come ovviamente è intenzionata a fare, deve mostrare un’azione di governo che pianta pochissime bandierine di parte e promuove invece misure il più possibile nell’interesse generale. Come si è visto nell’elezione dei vertici di Camera e Senato ha già dovuto accedere a qualche cedimento: per Palazzo Madama non gli è andata male perché La Russa è al tempo stesso “identitario” e convertito a trasformarsi il più possibile in uomo delle (nuove) istituzioni; per Montecitorio ha dovuto accontentare Salvini che voleva invece piantare una sua personale bandierina, il che per lei non è né utile, né opportuno.

Ciò significa che siamo solo ad un assaggio di una storia che crediamo sarà piuttosto complicata.

vitaTrentina

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