La fragile democrazia brasiliana ha bisogno dell’Europa

Dopo 12 anni dall’ultimo incarico presidenziale, Luiz Inàcio Lula da Silva è ritornato al potere in Brasile. Per lui si tratta quindi del terzo mandato in quell’immenso paese. Vi è da riconoscere, tuttavia, che la vittoria non è stata netta come le volte precedenti. L’attuale presidente Jair Bolsonaro è stato staccato nel ballottaggio di un risicato 1,8%, circa due milioni di voti su un corpo elettorale di quasi 100 milioni di cittadini. Tuttavia il risultato del 30 ottobre è difficilmente contestabile poiché in Brasile, a differenza che da noi in Italia, il voto è elettronico. Una modernità, in una democrazia abbastanza recente, che si lascia ammirare.

Ma a parte questo dettaglio, dobbiamo ricordare che il Brasile ha vissuto un lungo periodo di dittatura militare, dal 1964 fino al 1985, ed è quindi una democrazia piuttosto fragile.

Lo stesso Bolsonaro, seppure eletto secondo le regole in vigore, ha dato molti segnali di autoritarismo nel corso del suo mandato, tanto da meritarsi l’appellativo di “Donald Trump dei Tropici”. Ha poi preso tutta una serie di decisioni in controtendenza rispetto ai governi che lo avevano preceduto. Fra le altre cose ha negato la pericolosità del Covid, procurando al Brasile la morte di ben 700mila contagiati, ma soprattutto ha rifiutato gli allarmi sui cambiamenti climatici, aggravandoli con una progressiva deforestazione del più grande polmone del mondo in Amazzonia. Bolsonaro ha infatti permesso ai grandi proprietari terrieri (i fazenderos) di distruggere circa 4 milioni di ettari di foresta pluviale, pari allo 0,7% del totale e di cacciarvi gli Indios che la abitavano.

Una tragedia ambientale, aggravata anche dai grandi incendi da calore degli ultimi anni, cui è da aggiungere un dramma ancora più grande: l’aumento esponenziale della povertà.
Si calcola che oggi gli indigenti assoluti (meno di 2 dollari al giorno) siano 30 milioni, mentre i poveri arrivino a 100 milioni. Il tutto su una popolazione complessiva di 215 milioni.
In effetti Bolsonaro, come il suo amico Trump in Nord America, ha favorito le classi più ricche ed agiate, a cominciare proprio dai grandi latifondisti che hanno provocato i danni ambientali sopra ricordati.

Da ex-militare, Bolsonaro ha poi dedicato particolare attenzione alle forze armate. Ne ha dato prova anche il giorno del voto di ballottaggio dando ordine alla sua Guardia federale di bloccare con varie scuse i bus che portavano i contadini e gli operai a votare, molto probabilmente a favore del rivale Lula.

Vi era quindi il fondato timore che una sua riconferma alla presidenza avrebbe potuto portare ad una progressiva degenerazione autoritaria della ancora giovane democrazia brasiliana.

Non è ancora chiaro quali potranno essere le mosse di Bolsonaro nei prossimi giorni, anche perché sul modello del sistema americano, il nuovo presidente Lula sarà insediato solamente all’inizio di gennaio. Vi è quindi tutto il tempo per lo sconfitto di promuovere azioni di disturbo, come sta capitando in queste ore con blocchi stradali e sit-in di protesta nei confronti del futuro leader, rendendogli la successione ancora più difficile.

Il primo compito di Lula, proprio alla luce dei risultati elettorali, sarà quello di riuscire nella difficilissima operazione di riconciliazione nazionale. Sono state proprio queste le sue prime parole dopo l’ufficializzazione della vittoria. Cosa estremamente complicata in un paese potenzialmente ricchissimo, ma oggi in ginocchio sia per le conseguenze economiche del Covid sia per le politiche poco lungimiranti del precedente governo che hanno portato ad una crescita incontrollata dell’inflazione e, come dicevamo, all’estensione dell’area di povertà e di ineguaglianza sociale.

Non sarà quindi facile per Lula ripetere le grandi performances economiche dei suoi primi due mandati, dal 2003 al 2010, allorquando l’economia del Brasile era vista come il miracolo economico del Sud America ed un esempio per il resto del mondo.

Oggi le casse dello stato sono vuote e il debito pubblico in crescita. Quindi le prime azioni del presidente eletto dovranno per forza di cose guardare all’esterno del paese. Dapprima ai propri vicini in America Latina, dove i rapporti politici possono essere agevolati dal grande vento riformista e di sinistra che, a differenza di quanto succede da noi in Europa, si è diffuso in quasi tutti i paesi dell’emisfero. Oggi solo Ecuador e Uruguay hanno formazioni di destra al potere. Potrà quindi forse decollare il Mercosur, area di cooperazione fra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, diventando progressivamente un vero e proprio grande mercato interno, sul modello dell’UE. Proprio con quest’ultima si dovrà poi sbloccare il Trattato di Libero Scambio, rimasto lettera morta dal 2019, anche per il disinteresse di Bolsonaro.

Ma è evidente che da parte europea sarà necessario fare di più nei confronti dell’America Latina e del Brasile in particolare, aumentando gli investimenti e gli aiuti di Bruxelles in quella direzione.

Molte speranze si appuntano sulla presidenza di turno UE della Spagna ad inizio 2023, casualmente in concomitanza con quella del Brasile per il Mercosur. L’obiettivo principale potrebbe proprio essere quello di dare nuovo impulso alle relazioni bilaterali.

Un’attenzione da parte europea più che mai necessaria, poiché la fame di investimenti e prestiti in Brasile crescerà sempre di più se Lula vuole davvero rispettare la sua agenda di ripresa economica nel paese.

Ricordandoci che, se non sarà l’Europa ad assecondarlo, vi è pronta la Cina a prendere il nostro posto, come già sta facendo da anni nella costa occidentale dell’America Latina. Non è solo una gara economica quella che a noi deve interessare, ma anche un nostro impegno per il consolidamento della democrazia in un paese che potrà diventare con Lula un attore decisivo per i temi del cambiamento climatico e del rispetto dei diritti umani.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina