In classe senza smartphone? Ci guadagnano le relazioni

Il “calendario” utilizzato nelle classi dell’Arcivescovile. Foto © Gianni Zotta

Stop ai cellulari in tasca durante le lezioni. Fa discutere, in queste ore, la proposta del ministro Valditara, anche se, di fatto, oggi, anche in Trentino, ormai tutti gli istituti hanno una regolamentazione che prevede il divieto di utilizzo dello smartphone. Siamo stati all’Arcivescovile di Trento e all’Istituto Comprensivo di Predazzo.

Al Collegio Arcivescovile  di Trento, gli studenti delle medie ripongono il cellulare nelle taschine di un “calendario” in stoffa. Lì ci rimane fino al termine delle lezioni. Così viene gestito “il problema legato all’uso dei cellulari” alle medie del Collegio Arcivescovile di Trento. In realtà, come ci spiegano sia la professoressa Federica Garzetti, che insegna lettere alle medie ed è referente per l’educazione civica, sia il rettore Bruno Daves, il cellulare non è un problema in sé. “Bisogna educare i ragazzi all’uso di questo strumento – commenta Daves -; di qui l’importanza della comunità educante dei docenti, che deve mantenere vivo e continuo il confronto su un mezzo che non bisogna demonizzare, ma conoscere. Noi lo chiamiamo telefono, ma è sbagliato, perché racchiude infinite potenzialità, così come molti limiti. Durante l’estate, per esempio, ci sono troppi ragazzi che passano il tempo con il cellulare in mano. E la relazione in ambito educativo non può passare attraverso questo strumento”.

Federica Garzetti, docente dell’Arcivescovile. Foto © Gianni Zotta

È da cinque anni che alle medie viene usato il supporto in stoffa per i cellulari. Lo stesso sistema vige alle superiori, ma nei momenti liberi gli studenti possono controllare cosa si è mosso nei loro dispositivi. “Anche noi insegnanti riponiamo spesso il cellulare nello stesso supporto dei ragazzi”, racconta la professoressa Garzetti, che riflette su come “negli ultimi dieci anni, dalla diffusione dello smartphone in poi, la maggior parte dei problemi disciplinari gravi sono legati all’uso del telefono. Mi riferisco soprattutto alle fotografie e ai video diffusi su Whatsapp, che possono diventare veicolo di prese in giro che sfociano in fenomeni di bullismo”.

Non ci si può però limitare a proibire lo strumento. “Discutiamo molto di questo tema nelle ore di educazione civica – spiega Garzetti -, soprattutto in prima media, dove ci sono ragazzini che avranno in mano il cellulare di lì a poco, a seconda della scelta operata dalle famiglie. La nostra utenza è molto variegata: ci sono ragazzi che vengono da tutte le valli del Trentino, e in quel caso il telefono diventa una forma di sicurezza per le famiglie”. In qualche caso però il cellulare viene utilizzato anche alle medie. “Abbiamo scelto di non bloccare tutto ciò che è esperienziale”, prosegue la professoressa. “In alcune occasioni, come uscite didattiche, mostre, camminate ed eventi sportivi, il telefono viene usato. Per non parlare della ricerca dei vocaboli e dei concorsi fotografici”. E, più recentemente, delle elezioni politiche. “Siamo andati a spulciare gli strumenti che il Ministero offriva per vedere in tempo reale come cambiavano le percentuali delle votazioni e gli exit poll”, spiega Garzetti. “È un lavoro che è stato fatto con le seconde e le terze medie. La rete in questi casi aiuta un sacco, perché fa comprendere una situazione in tempo reale”.

Ci spostiamo a Predazzo per fare il punto sulla sperimentazione a tre anni e mezzo dall’introduzione dal divieto di utilizzo del telefono. “Senza smartphone – ci dicono – più facili le relazioni”.

“È vietato l’utilizzo del telefono cellulare e dei vari dispositivi elettronici in ogni momento delle attività scolastiche antimeridiane e pomeridiane (compreso il periodo della ricreazione)”, recita il primo punto del 9° comma dell’art. 13 del regolamento interno dell’Istituto comprensivo di Predazzo, Tesero, Ziano e Panchià, istituito nell’aprile del 2019 con l’unanimità di genitori e insegnanti.
Un divieto che non lascia interpretazioni, e che riguarda gli studenti ma anche i docenti, stabilito con l’obiettivo di “recuperare socialità durante la ricreazione, abituando i ragazzi a non diventare ‘schiavi’ delle nuove tecnologie”, come riportano i verbali dell’epoca.

Oggi, a tre anni e mezzo di distanza, la norma è ancora in vigore, senza nessun ripensamento da parte di chi la scuola la vive ogni giorno. “Noi siamo un Istituto comprensivo, per cui i nostri studenti sono particolarmente piccoli rispetto a un contesto di Scuola superiore. I ragazzi possono comunque tenere il cellulare in cartella, spento, perché all’uscita della scuola, al termine dell’attività didattica, potrebbero avere la necessità di chiamare la famiglia, però il divieto rimane, tanto per gli alunni quanto per i docenti”, ci spiega la dirigente scolastica Elisabetta Pizio, alla guida dell’Istituto dal settembre 2022.

La dirigente scolastica Elisabetta Pizio

Quando la dirigente è arrivata a Predazzo ha trovato una prassi ormai ben consolidata, e funzionante: “Condivido assolutamente il provvedimento. È vero che il cellulare potrebbe essere utilizzato anche durante le lezioni per scopi didattici, ma bisognerebbe avere la capacità e la forza necessaria per verificare che l’utilizzo sia strettamente legato all’attività scolastica, e quando una classe intera prende in mano lo smartphone non è facile controllare che i ragazzi non si distraggano con le chat o altro”, considera la dottoressa Pizio: “Le possibilità di fare esperimenti e progetti con l’utilizzo della tecnologia ci sono anche senza cellulari: non serve necessariamente portare il proprio device per fare cose che si possono fare tranquillamente con gli strumenti in dotazione alla scuola”

Al bisogno, infatti, gli studenti hanno a disposizione un’aula di informatica, “con computer dotati di filtri e controllo della cronologia, ma anche dei carrelli con i tablet. Qualche scivolone può verificarsi, ma il tutto è più facile da monitorare, cosa che non sarebbe con i cellulari, che sono personali – aggiunge la dirigente -. Gli insegnanti, invece, da quando è stato introdotto il registro elettronico, a volte possono avere bisogno del cellulare, nel caso non funzionasse il computer che hanno a disposizione in aula, per firmare il registro, ma si tratta di un breve momento, legato a un caso di necessità”.

Se con gli anni l’utilizzo degli smartphone è sempre più preponderante, nelle vite di tutti, è possibile che dal 2019 nessuno si sia mai lamentato di una tale limitazione? “Già al tempo la decisione fu unanime. E l’Istituto offre tutte le alternative necessarie all’utilizzo del cellulare, quindi non c’è mai stato nessuno che abbia obiettato in tal senso”, prosegue Pizio, che da dirigente, durante il periodo pandemico, ha già dovuto affrontare l’emergenza legata alla socialità: “Con il Covid-19 gli spazi per conoscersi e dialogare, anche durante le ricreazioni, erano ridotti al minimo, per via delle regole e del distanziamento sociale. Il momento dedicato alla ricreazione non è lungo, dura un quarto d’ora circa, ma è sempre meglio di niente: non avere a disposizione il cellulare, o comunque non poterlo utilizzare, facilita le relazioni”.

Smartphone

Parola anche ai genitori con Maurizio Freschi, presidente della Consulta provinciale. “I telefoni vanno limitati, ma con regole uguali per tutti”.

Non è certo una questione nuova quella dei cellulari in classe. “Prima del Covid era stata affrontata, soprattutto negli istituti superiori, con diverse modalità, per limitare la presenza di telefoni attivi durante le ore di lezione”, spiega Freschi, ricordando i contenitori, gli armadietti o altri sistemi che in seguito sono stati messi in discussione dalla pandemia e dalla necessità di limitare i contatti tra gli studenti.

Al netto delle strategie diverse, oggi praticamente tutti gli istituti hanno una regolamentazione che prevede il divieto di utilizzo dello smartphone, se non su richiesta del docente per alcuni casi specifici legati all’attività didattica, ci spiega il rappresentante dei genitori: “Non c’è dubbio sul fatto che sia un problema da gestire, ma è necessario che il Dipartimento trovi un’indicazione coerente per tutti. Altrimenti, con la scusa dell’autonomia scolastica, nessuno si assume la responsabilità di decidere, lasciando i vari istituti ad arrangiarsi. Questo comporta che chi ha più figli in istituti diversi si trova a confrontarsi con misure diverse per lo stesso tipo di problematica, ed il risultato è caotico, diseducativo e in contrasto con il concetto di educazione civica”, conclude Freschi.

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