Indennità di appalto, la sentenza del giudice del lavoro: Muse e Coopculture condannati a risarcire un lavoratore

Una cifra compresa tra i 6 e gli 8mila euro dovrà essere versata a un lavoratore che, col supporto della Cgil, ha presentato e vinto un’istanza contro il Muse e la cooperativa di cui era dipendente, la Coopculture. La sentenza interessa da vicino non solo questa persona, ma anche il centinaio di lavoratori impiegati presso il Muse in biglietteria, come pilot o divulgatori. A questi potrebbero aggiungersi le 127 persone che, negli anni, si sono licenziate per motivi analoghi.

Il tema è la mancata corresponsione dell’indennità di appalto. Quando una “stazione appaltante” emette un bando per un servizio, articola il capitolato e chi vince si impegna ad applicare un contratto attinente. Il contratto di riferimento per il Muse sarebbe quello di Federculture, ma le cooperative che si sono aggiudicate le forniture hanno concordato, nel 2018, di applicare il contratto delle Cooperative sociali (le coop che forniscono servizi al Muse sono la già citata Coopculture, Socioculturale e Mimosa poi sostituita da Csu di Bolzano a seguito della messa in liquidazione di Mimosa). Ma la legge stabilisce che, ai lavoratori inquadrati con un contratto meno ricco di quello di riferimento, debba essere corrisposta la differenza di retribuzione: questa cifra rappresenta l’indennità di appalto. Le cooperative non hanno mai applicato tale indennità e la sentenza del giudice del lavoro di Trento, dottor Flaim, condanna Coopculture e Muse, in solido, a risarcire.

Molte le implicazioni della sentenza, spiegate stamane in conferenza stampa dal segretario generale della Fp Cgil Luigi Diaspro, dalla segretaria Roberta Piersanti e da Maurizio Zabbeni che per la confederazione Cgil segue il settore appalti. “Si chiarisce che le Cooperative devono applicare l’indennità di appalto; si chiarisce che il Muse è tenuto a verificare la corretta applicazione dei contratti. Compito del sindacato è fare accordi, non cause. Speriamo che questa vicenda faccia cambiare l’atteggiamento dei nostri interlocutori che, negli anni, hanno sempre liquidato il malessere dei lavoratori come episodi “folkoristici”. Nel tempo abbiamo sentito che il Muse è un trampolino formativo per portare le persone verso occupazioni vere, sottintendendo che quello al museo fosse un “lavoretto” da studentelli; addirittura, qualcuno si è spinto a dire che i “pilot” si possono sostituire coi totem informatici. È con amarezza che constatiamo i fatti di oggi: serve una sentenza per far valere diritti e che da anni rivendichiamo pubblicamente”.

La sentenza stabilisce che il Muse non potrà più dire di essere inerme di fronte alle scelte delle cooperative e le cooperative non potranno più lamentare le ingerenze del Muse. Ancora Piersanti: “Con stupore abbiamo appreso che in sede giudiziale, nel contesto della causa, sarebbe emersa l’esistenza di iniziative portate avanti dal Servizio lavoro nei confronti delle cooperative che avrebbero portato a contestazioni per omissioni retributive, previdenziali e assicurative. Com’è possibile quindi che né il Servizio lavoro, né il Muse abbiano ritenuto necessario comunicare tempestivamente al sindacato tali episodi, relativi a punti su cui la nostra azione si era concentrata da anni? Il Muse non ha mai fatto valere il proprio diritto a risolvere il contratto: lo ha sempre rinnovato e, per il prossimo 30 novembre giorno di scadenza, ci chiama per darci comunicazioni sul rinnovo, nell’ultimo giorno utile”.

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