Non c’è da gioire per la crisi dei partiti

A parte Fratelli d’Italia, il Movimento Cinque Stelle e la nuova federazione Azione/Italia Viva, gli altri principali partiti sono tutti in crisi. Non solo il PD, ma la Lega e Forza Italia non se la passano bene e affrontano tutti un calo di consensi. Le ragioni sono diverse, perché ciascuno è un caso peculiare, ma credo si possa dire che ad accomunarli sia il fatto che si tratta di forze che hanno cercato di transitare nella seconda repubblica gli schemi fondamentali della forma partito tipici della prima. Alcuni pensano che FI possa essere una eccezione a questa regola, ma è vero solo in parte.

I tre partiti che abbiamo citato all’inizio sono invece ciascuno il frutto di una identificazione con un leader fondatore. FdI è oggi Giorgia Meloni, M5S è Giuseppe Conte, Azione/IV è Calenda e Renzi. Per ragioni diverse ciascuno di essi è un “vincitore”: Meloni perché ha portato il suo partito dal 4% al potenziale 30%, Conte perché è riuscito ad impedire che M5S si dissolvesse salvando la metà del suo consenso, Calenda e Renzi perché sono riusciti ad imporsi come “Terzo Polo” raccogliendo un elettorato che andava ben al di là del loro seguito personale.

Questo non è vero per gli altri partiti che abbiamo citato. Forza Italia non ha più un vero leader che si impone al paese. Berlusconi è il “signore” di truppe che debbono la loro scarsa fortuna allo sfruttamento dell’eredità del tempo che fu, mentre lui non fa più neppure opinione e viene guardato più o meno come uno stravagante nobile decaduto. Salvini è un ex capitano perché ha portato il suo partito a precipitare nei consensi e certo non lo fa risorgere con la vecchia tattica degli slogan ad effetto, perché di effetto non ne fanno più. Lentamente cresce il dissenso fra le fila della Lega e se l’attuale dirigenza regge è per la viscosità intrinseca in tutti i poteri politici.

Il PD è quello messo peggio. Non solo ha incontrato un sensibile declassamento elettorale, ma non riesce più ad esprimere né un leader, né una linea politica. Letta si è rivelato un segretario fallimentare, perché dopo non aver saputo gestire lo scontro elettorale non è stato capace di governare neppure la sconfitta. L’essersi buttato nell’impresa di ridare una “identità” al partito lo ha ulteriormente debilitato: le cosiddette “Agorà” sono state una operazione mediatica rapidamente archiviata e dimenticata senza aver lasciato un qualche contributo; altrettanto si dica per l’aver affidato la ristesura della cosiddetta carta dei valori ad una novantina di personaggi che sono riusciti per ora solo a mostrare quanta confusione e quanto velleitarismo alberga sotto quei cieli.

Il percorso di scelta del nuovo segretario sta mettendo in luce un sistema conteso fra un gruppo di cacicchi che si presentano come capo-corrente e candidature nate nel più caotico dei modi: da chi si è candidato subito giusto per conquistarsi un minimo di attenzione (Paola De Micheli), a chi esce dalla filiera degli amministratori locali e del funzionariato di partito (Bonaccini), a chi si candida sull’onda di un parterre di personaggi dei media che l’ha inventata senza che sia neppure iscritta al partito (Schlein).

C’è da essere contenti di questa debolezza dello scenario dei partiti? Certamente no, perché sappiamo che una democrazia non funziona bene senza strutture che guidino, sia pure dialetticamente, il formarsi di una opinione pubblica che in definitiva si riconosce nel sistema politico. Tuttavia non c’è da illudersi che allora si risolve tutto se accettiamo i partiti esistenti così come sono. Quel che vediamo in questi giorni a fronte di un problema grave e delicato come la stesura della legge di bilancio è un magma che ingloba e confonde chi difende questa o quella lobby incurante del bene comune e chi pensa che si risolva qualcosa con le barricate contro tutti e tutto.

Si deve sperare che dalla crisi dei partiti escano in tempi ragionevolmente brevi nuove leadership capaci di riaprire un confronto sulle cose da fare e sul come farle, buttando a mare tutti quelli che non sanno fare altro che agitare bandierine. Spazi per recuperare classi dirigenti di questo tipo ci sono nella Lega, se marginalizzerà Salvini e i suoi, nel PD, se Bonaccini riesce ad imporsi avviando un ripensamento del riformismo della sinistra. Più improbabile la cosa in Forza Italia, mentre per Azione/IV il problema è uscire dall’essere semplicemente il corpo di guardia del duo Calenda-Renzi.

Se si rinvigorisce il sistema dei partiti, si consente al governo in carica per questa legislatura di sbarazzarsi dai condizionamenti dei non pochi pasdaran che ha dentro e si costringe M5S ad uscire dalla postura alla Masaniello che gli ha imposto Conte per consolidare il suo ruolo.

Sarebbe davvero un bel passo avanti per la politica italiana.

vitaTrentina

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