Con la visita di papa Francesco riflettori sul Congo R.D. Le Ong: “Dietro al conflitto responsabilità anche europee”

La visita apostolica di papa Francesco nella Repubblica democratica del Congo (dal 31 gennaio fino al 3 febbraio) e poi in Sud Sudan (fino al 5 febbraio) accenderà i riflettori su questi paesi dimenticati e su popolazioni provate duramente da conflitti e povertà. Poi, molto probabilmente, spariranno nuovamente dal flusso informativo dei grandi media.

Per cercare di evitare questo rischio, alla vigilia della partenza del Papa, 107 organizzazioni della società civile italiana (tra cui Libera, Comunità Papa Giovanni XXII, Stop the War Now, Tavola della pace, Cipsi, Ong, Caritas diocesane, parrocchie e missionari ) in una conferenza stampa a Roma hanno chiesto di riportare l’attenzione in particolare sul conflitto nell’Est del Congo che dura da 30 anni, sulle sue cause e sulle responsabilità: lo sfruttamento delle risorse minerarie per la tecnologia e gli interessi economici di multinazionali dell’Occidente, Europa compresa. E hanno indicato tappe precise per la pace, come già suggerito nel Rapporto Mapping dell’Onu del 2010 sulle violazioni ai diritti umani, che propone anche l’istituzione di un Tribunale penale internazionale, oltre alla creazione di una Commissione verità e riconciliazione.

Al Papa hanno inviato una lettera privata (non è stato diffuso il testo completo) nella quale spiegano le ragioni delle sofferenze e denunciano le “cause strutturali” e le responsabilità dell’Occidente, Europa compresa, nell’accaparramento delle risorse tra cui coltan, cobalto, oro, diamanti, petrolio, legno.

Le 107 organizzazioni chiedono che vi sia una smilitarizzazione della regione del Nord e Sud Kivu: togliendo terreno al Movimento M23 e agli oltre 100 gruppi ribelli presenti nell’area con la realizzazione di un programma concreto di disarmo e la reintegrazione dei combattenti nella società civile.

All’Unione europea si chiede di ripristinare e revisionare il Regolamento (Eu) 2017/821, entrato in vigore il 1o gennaio 2021, estendendolo al cobalto e rendendo concreta l’applicazione della legge sulla tracciabilità dei minerali, uno strumento concreto per bloccare l’uso di quelli provenienti da aree di conflitto.

“Il Congo è ricco da morire, ma i congolesi stanno morendo per le loro ricchezze “, ha denunciato l’attivista per i diritti umani John Mpaliza, che vive a Rovereto. “Il silenzio e l’embargo di notizie su questo conflitto sono la conseguenza dell’ipocrisia e della responsabilità della comunità internazionale nell’accaparramento iniquo delle risorse minerarie del Kivu. Questo silenzio conviene a quanti hanno interesse in Congo: Usa, Europa, Cina, vicini come il Rwanda e l’Uganda“.

Micheline Mwendike Kamate, scrittrice e attivista del movimento congolese “Lucha”, nata e cresciuta durante il conflitto, ha ribadito: “La guerra perde sempre. Io ho scelto la non violenza perché, dopo tanti anni, ci si rende conto che la guerra consuma tutte le rivendicazioni iniziali e rimane solo tanta sofferenza, da tutte le parti”.

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