Drammi, canzonette, bandierine. Ma non tutto fa politica

Terremoto in Turchia e Siria. Foto Caritas Anatolia

Può darsi che come si usa dire tutto faccia brodo, certo non tutto fa politica, almeno se le vogliamo dare un senso dignitoso. In questa settimana di attesa per i risultati delle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio, la politica si sta seppellendo sotto varie tipologie di macerie.

Ci sono certo quelle drammatiche del terremoto in Anatolia, una vicenda di dimensioni davvero apocalittiche, in cui alla tragedia umana, che viene senz’altro al primo posto, si aggiungono le prime sussurrate considerazioni geopolitiche. La zona è delicata, divisa com’è fra una Turchia che punta a risuscitare una sua dimensione in qualche modo di potenza più che regionale e una Siria ancora terreno di una guerra civile feroce. Come questo impatterà sul futuro è incerto, ma il nostro Paese ne sarà toccato, non fosse altro per la presenza “mediterranea” della Turchia (vedi Libia, ma non solo).

Poi c’è la solita bagarre su Sanremo, dove tutto fa spettacolo e gossip. La estemporanea trovata di invitare Zelensky ad intervenire si è avvitata su se stessa: niente videomessaggio, solo una lettera che sarà letta dal presentatore. Un modo piuttosto bizzarro di mescolare dibattiti sullo stato della nostra musica leggera con appelli alla coscienza politica.

Tutto questo condito da un tripudio di bandierine da parte delle diverse forze politiche. Ci sono quelle più o meno storiche, che peraltro non suscitano grande interesse fuori dei militanti più radicali e degli osservatori di professione: autonomia differenziata, presidenzialismo e infine la telenovela sul 41bis. Potrebbero anche essere argomenti per riflessioni serie, ma sono trattati in maniera tale da ridurli a poco più di slogan e di ritornelli che presentano argomentazioni stereotipate.

Dentro ci si infilano poi le intemerate di tutti quelli a cui interessa più che altro guadagnarsi il centro della scena politica. Bisogna dire che al momento eccellono in questo campo uomini e donne di FdI che sembrano non avere altra cultura che quella della provocazione per la provocazione, come era tipico quando rappresentavano una minoranza marginale e arrabbiata. Suscita qualche perplessità il fatto che Meloni non sembri in grado di tenere sotto controllo i suoi compagni dei tempi difficili. è un fenomeno tipico delle formazioni estreme quando giungono al potere, soprattutto nella prima fase. Se si consolidano in genere si sbarazzano poi di quelli che formavano un pacchetto di mischia nella fase precedente. Vedremo se e in quanto tempo ciò potrà succedere anche per FdI.

Molto dipenderà ovviamente dagli esiti delle elezioni regionali, che non sembrano suscitare grande fascino sull’opinione pubblica, ma che invece sono attese con grande ansia dai partiti. Qui la prima questione è senz’altro la distribuzione del consenso elettorale nella destra-centro. Se FdI supererà di gran lunga i risultati della Lega in Lombardia si aprirà una questione spinosa, non solo per la permanenza di Salvini nel suo attuale ruolo egemone, ma per l’aprirsi di un incremento di attrazione del partito di Giorgia Meloni verso quell’elettorato. Un successo anche nel Lazio, dove la Lega ha scarso significato, comunque aggiungerebbe una spinta al rafforzamento della destra.

Si apre però la questione di una crescita di FdI che è legata senz’altro all’attrazione nella sua orbita di voti che non sono pescati nell’ambito né del revanchismo estremista, né della protesta a prescindere. Di questo si sono resi conto sia Salvini che Berlusconi, i quali, ciascuno a suo modo, si sono messi a predicare moderazione e toni bassi nel tentativo di tenere quel tipo di elettorato nelle loro fila e di far ritornare quello che li aveva abbandonati.

Per gli sviluppi futuri molto dipenderà però da come escono dalla prova elettorale le opposizioni. Il test è significativo per Azione e IV, perché sia in Lombardia che nel Lazio hanno un certo radicamento e terreno potenzialmente favorevole per la crescita. M5S è in gioco solo nel Lazio, ma tanto Conte punta solo al livello nazionale (e tuttavia un suo successo o insuccesso darebbe un segnale). Il PD è quello in maggiori difficoltà: nel pieno di una battaglia per la segreteria, con una linea politica ondivaga che lo fa recuperare un po’ sull’estrema sinistra, ma non si sa se lo indebolisca o meno sugli altri fronti, deve smentire o confermare le molte profezie che lo danno in declino. Non interessa solo lui, perché anche Meloni, se si indebolisse molto il PD, avrebbe più difficoltà a mettere in riga i residui del radicalismo di destra estrema ancora presenti nel suo partito.

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