La lumaca di Riccardi, le antenne della pace

A pochi giorni dall’anniversario di quella notte (24 febbraio 2022), in cui la guerra è arrivata “come il ladro nella notte”, eravamo in molti lunedì ad ascoltare all’Arcivescovile la voce profetica di Andrea Riccardi.

Del fondatore della Comunità di Sant’Egidio abbiamo apprezzato lo sguardo storico, attento alle sofferenze ataviche degli ucraini ma anche al travaglio dei popoli russi, e abbiamo condiviso la constatazione psicologica che, ad un anno dallo scoppio del conflitto, ci vede “impotenti come una lumaca, indifesi come una mosca”.

È questa un’immagine che Riccardi ha mutuato da Stefan Zweig, scrittore di origini ebraiche che vide i suoi libri bruciati dai nazisti di Hitler e che, chiuso dentro una stanza, descriveva così la sua impotenza “mentre era in gioco la mia vita, la mia morte, il mio futuro”. Anche noi ci siamo sentiti subito impotenti, perché – come dice Riccardi che ha visto da vicino le guerre più atroci del mondo e non minimizza la minaccia atomica – “quando un conflitto comincia, il futuro va nelle mani dei signori della guerra”.

In questi lunghi mesi abbiamo cercato di non cedere alla rassegnazione. Come credenti ci siamo affidati all’arma disarmante della preghiera. Eppure – anche per il meccanismo psicologico di rimozione del male – avvertiamo ora una tendenza diffusa a richiudersi nel guscio protettivo della lumaca, come se fosse cominciata l’era della “non pace”.

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Riccardi ha lucidamente rilevato il fatto che questo conflitto scoppiato “nel cuore dell’Europa” ha portato sul piano culturale ad una “riabilitazione della guerra”. Si discute anche al bar sui sistemi di difesa Patriot e sui carri armati Leopard 2, si recepiscono ormai i bollettini di guerra come titoli di un film di cui siamo spettatori non protagonisti. “Cresce via via l’investimento negli armamenti – dice Riccardi – non vedo investimento nel negoziato”. Anche le generazioni che non hanno mai visto la guerra ora si trovano a doverla accettare come una realtà vicina, abituale, anche se “sacrilega”.

È la constatazione dolorosa di questo primo anniversario, alla quale si sovrappone la pietà per i paesi distrutti dal terremoto in Turchia e in Siria. Dalla prolusione di Riccardi arriva però una “chiamata per tutti noi”, una reazione simile a quella delle lumache, quando rizzano le antenne cogliendo stimoli esterni. “Quando mancano gli uomini, sforzati tu di essere uomo di pace” dicevano i saggi d’Israele. C’è bisogno di un movimento che metta la pace nel cuore della gente e della politica. L’ignoranza, anche quella dei ricchi, favorisce la guerra e la paura, il ripiegamento nell’io egotista invece che nel “noi” solidale.

Per Andrea Riccardi “cultura di pace” è partecipazione contagiosa, informazione appassionata attingendo a fonti sicure: è “non voltare le spalle” perché la distrazione dei cittadini favorisce decisioni poco pensate e i signori della guerra. È vivere la solidarietà con gli stranieri, “atto di pace” come la convivenza di una coppia trentina con i rifugiati siriani, raccolta da Marco Mazzurana a pag. 7.

Giovedì prossimo 23 febbraio l’ arcivescovo Lauro ci invita ad una speciale preghiera per la pace alle ore 18: “Dio non è sordo – dice il teologo Karl Barth – c’è un’influenza della nostra preghiera sull’azione di Dio”. Quello che conta “non è la forza delle nostre preghiere, ma il fatto che Dio le ascolta – la conclusione dello storico Riccardi – e quindi la preghiera cambia la storia”.

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