Economia, serve una programmazione seria

foto SIR/Marco Calvarese

Non c’è solo la questione della “messa a terra” del PNRR, che pure continua ad essere un nodo importante della nostra politica economica. Ci si deve occupare anche dello sviluppo complessivo di un sistema che fatica a produrre sviluppo, la sola componente che può metterci in grado di attenuare il nostro gigantesco debito pubblico. Non c’è a disposizione un tempo infinito: in Europa stanno tornando di moda i rigoristi che chiedono politiche di bilancio austere. Soprattutto quelle degli altri, ma purtroppo tra questi altri c’è l’Italia.

Il governo elabora l’ormai famoso DEF, sigla che sta per documento di economia e finanza e può compiacersi di presentare un PIL in crescita intorno all’uno per cento. Un buon risultato, che non ci fa sfigurare con Francia e Germania, non fosse che, se è vero che la nostra capacità produttiva è buona, che pare ci stiamo lasciando alle spalle i tempi relativamente bui della pandemia (per ciò che riguarda la nostra capacità economica, non per altro), ad intaccare il nostro debito pubblico proprio non ci riusciamo. Per di più andrebbe ricordato che quel debito aumenterà in prospettiva perché dovremo ad un certo momento rifondere i prestiti che ci sono arrivati col Recovery europeo, non proprio un orizzonte felice.

Si sta così montando una specie di gioco infernale: da un lato sembra che non ce la facciamo a spendere, e soprattutto a spendere bene i soldi del PNRR, dal lato opposto se rinunciamo a quanto potrebbe venirci da quegli investimenti addio speranza di rimettere in moto la crescita e di conseguenza di creare le risorse per ridurre il nostro debito.

Nella maggioranza di governo convivono coloro che sono consapevoli dell’impasse in cui ci troviamo e coloro che pensano ancora che tutto si possa risolvere con un po’ di slogan. Quel che sta accadendo sul fronte dei fenomeni migratori con la crescita enorme dei flussi dovrebbe avere insegnato a tutti che non è con le sparate alla Salvini che si risolvono i problemi dei fenomeni storici.

Certo non è l’opposizione ad essere in grado di impensierire la tenuta della maggioranza di destra-centro. Nonostante una leggera flessione di FdI, Lega e FI sono più o meno ferme nelle loro quote di consenso stimato e le opposizioni divise non hanno fatto passi avanti (se il PD di Schlein ha guadagnato qualche punto nei sondaggi lo ha fatto a spese di M5S, cioè lasciando tutto fermo). Siamo sempre al gioco delle figurine a pro delle sceneggiate e non è con quello che si implementa il PIL.

Il tema spinoso a cui il governo deve far fronte è duplice. Innanzitutto c’è la questione dell’inflazione, in leggero calo, ma più alta che nel resto d’Europa e soprattutto concentrata nei beni di largo consumo. La causa dell’aumento di quei prezzi era stata imputata ai costi dell’energia, ma quelli sono da qualche tempo drasticamente calati senza che si sia visto un ritorno dei prezzi dei beni di consumo ai livelli precedenti. In secondo luogo c’è il problema dei redditi da lavoro dipendente che restano bassi. Stipendi e salari crescono poco e con i prezzi che salgono questo limita le capacità di spesa delle famiglie. Per un’economia come quella italiana che è per una quota rilevante trainata dai consumi non è indice di buona salute.

Ci sarebbe necessità di una seria programmazione economica che affrontasse il riordino del nostro sistema economico, ma una simile azione richiederebbe non solo una intesa fra maggioranza ed opposizione, ma soprattutto una intesa all’interno delle varie forze politiche che compongono l’una e l’altra. In un contesto in cui la partecipazione elettorale declina e sembra grosso modo stabilizzarsi, ben che vada, su un astensionismo che si colloca fra il 40 e il 50% degli aventi diritto al voto i partiti ormai puntano più che altro a fidelizzarsi le rispettive tifoserie, che sono quelle che vanno a votare. Non sappiamo se sia vero che quelle della destra-centro sono oggi più motivate a recarsi alle urne che quelle sparse fra i tre partiti di opposizione: a stare ai sondaggi sembrerebbe così, ma si sa che siamo in una fase di mobilità del consenso, dunque tutto può cambiare.

Proprio per questo quadro l’importanza dei temi economici diventa centrale, perché è su quelli che, vuoi direttamente, vuoi indirettamente, si forma la percezione non solo del futuro che ci attende, ma della necessità o meno di una buona politica per evitare di finire nei pasticci. Il governo ha più leve per incidere sui fenomeni, ma visto anche il nostro sistema para-federale non ne mancano alle regioni e ai comuni, e dunque si potrebbe anche fare un gioco largo e creativo oltre gli steccati dei partiti. Sempre che la si smetta col giocare alle scempiaggini del ruba-bandiera pseudo ideologico che tanto piace a gran parte dei gruppi dirigenti della politica.

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