Scelta di campo nello scontro tra due civiltà

Ermanno Gorrieri

No, al partigiano cattolico Ermanno Gorrieri la definizione della Resistenza come “guerra civile” non piaceva proprio. Perché, diceva, non fu un conflitto “fratricida” tra italiani. Quello ci fu, ma ne rappresentò un carattere secondario. La Resistenza fu soprattutto “una scelta di campo nello scontro mondiale tra due civiltà”. Una “rivolta morale, oltre che politica, all’etica nazista e fascista della potenza, del dominio, dell’oppressione”. Che causò lo sterminio di innocenti, a partire dagli ebrei. Quella non fu una guerra di patrie contro patrie, ma “tra due concezioni della convivenza umana”.

“La prossimità ideale di me, partigiano, era con gli inglesi, gli americani, i polacchi, i brasiliani, i canadesi, gli australiani che combattevano contro il nazismo, più che con gli italiani che combattevano al fianco del nazismo”.

La Resistenza è un capitolo decisivo della nostra storia. Fondamentale per la ricostruzione della nostra democrazia. Un capitolo caldo, che può diventare bollente intorno al 25 aprile, Festa della Liberazione. È oggetto di interpretazioni diverse, di esaltazioni acritiche, ma anche di tentativi di sminuirne il significato. Soprattutto da parte di coloro che il fascismo non l’hanno mai ripudiato, anche se di questa democrazia godono i vantaggi, tanto da esserne alla guida, adesso. Gorrieri è libero da schematismi di parte. È una bussola affidabile. Esalta il valore della Resistenza, senza la quale gli italiani avrebbero ottenuto la democrazia soltanto dagli Alleati, come un dono a un popolo schiavo, incapace di battersi per la propria libertà. Ma non ne nasconde limiti ed errori.

Modenese, papà contadino e mamma maestra, Ermanno Gorrieri (1920-2004) è stato una personalità di rilievo del cattolicesimo democratico. Formatosi nell’Azione cattolica, fu partigiano, politico e deputato della Democrazia cristiana, tra i fondatori della Cisl, sociologo, studioso delle povertà e delle disuguaglianze, tra gli animatori della Lega democratica, ministro del Lavoro. Fu, infine, tra i fondatori dei Cristiano sociali che nei primi anni ’90 confluirono nei Democratici di sinistra. Lo ricordiamo come persona integerrima. Tra l’estate del ‘44 e il ‘45 fu tra i capi partigiani della Repubblica di Montefiorino, sull’Appennino modenese, una delle prime esperienze di autogoverno dopo vent’anni di dittatura fascista.

A quella “repubblica” partigiana Gorrieri dedicò nel 1966 un libro che segnò una svolta negli studi sulla Resistenza. Quarant’anni dopo ne fece una sintesi, “Ritorno a Montefiorino”, un agile volume, scritto insieme alla nipote Giulia Bondi, che uscì per Il Mulino nel 2005, l’anno dopo la sua morte. Accanto al racconto dettagliato della difficile lotta contro i nazifascisti e dei conflitti ideologici interni al fronte partigiano, Gorrieri ci offre i suoi pensieri sulla Resistenza. Rifiuta, come detto, la definizione di “guerra civile” per scegliere quella di “rivolta morale” contro una civiltà disumana. Mette in luce lo spirito di collaborazione tra cattolici (e con loro, socialisti e azionisti) e comunisti, ma anche le divergenze profonde. Negli obiettivi post-conflitto, che pesavano sulla conduzione della lotta: un regime democratico per gli uni, la conquista rivoluzionaria del potere per i comunisti. Nei metodi: ricorso senza remore alla violenza da parte dei comunisti, ricorso alla violenza strettamente necessaria e inevitabile da parte dei cattolici. I quali, spesso, avevano superato forti dilemmi interiori di fronte all’uso stesso della violenza (come fu per Giuseppe Dossetti). D’altra parte, il Partito comunista teneva in piedi l’organizzazione stessa della Resistenza. Era stalinista, ma senza la sua rete diffusa e disciplinata la Resistenza sarebbe stata poca cosa. Il contributo dei cattolici, e di altri gruppi, fu importante, ma minoritario e poco organizzato. A ciascuno il suo.

Ma, scrive Gorrieri, “il carattere di durezza impresso alla lotta dal Partito comunista non poteva non sfociare nel dilagare delle violenze ingiustificate” che si ebbero nella primavera del ’45. Esecuzioni sommarie non solo di fascisti e loro complici, ma anche di molti innocenti. Anche di preti, anche di democristiani, colpevoli solo di essere tali. Anche vendette personali. A lungo i comunisti, e talvolta ancora i loro eredi, ricorda Gorrieri, sono stati riluttanti a fare i conti con questi crimini. Facendo così un pessimo servizio alla Resistenza. Ma non possono certo essere i fascisti e i loro eredi a fare la parte dei “martiri”. Gorrieri, che contesta la fondatezza delle ricostruzioni di Giampaolo Pansa, scrive a proposito del “martirologio” neofascista: “È inconcepibile che si atteggi a vittima un partito che la violenza l’aveva nel sangue fin dalla nascita, che ne aveva fatto un uso senza risparmio e che, nell’ora del suo crepuscolo, era diventato ancor più barbaro e crudele”. E ricorda che i fascisti gareggiarono coi tedeschi nelle rappresaglie. A Carpi, per un morto, “avevano fucilato sedici persone, superando i dieci contro uno delle Fosse Ardeatine”. Le violenze, il ricorso sistematico alla tortura, le orrende stragi di cui si erano macchiati i nazisti e i fascisti furono le prime responsabili della rabbia che si era accumulata negli animi e che poi si manifestò nella violenza della lotta partigiana.

Ribadisce Gorrieri: “I fascisti non hanno titolo per fare le vittime”. E conclude, ed è il migliore e più obiettivo omaggio che si possa fare alla lotta partigiana: “Con le sue luci e le sue ombre, la Resistenza fu portatrice di una carica innovatrice tesa a gettare le basi di una società più libera e più giusta. Nonostante i contrasti e i conflitti, la comune partecipazione alla Resistenza aprì la strada al confronto e all’incontro di culture diverse nell’elaborazione della Costituzione”. Una Costituzione che continua a tenere saldamente in piedi la nostra tormentata democrazia.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina