Gli orsi e la fatica della mediazione

Foto Gianni Zotta

La morte di Andrea Papi, ucciso a Caldes da un’orsa 15 giorni fa, rappresenta sicuramente un punto di non ritorno per la comunità trentina. Anche se continuassimo a dire che quella morte è un’eccezione, che in genere gli orsi non attaccano, che gli attacchi non sono mai per uccidere, è chiaro che tutto questo perderebbe ogni valore di fronte alla morte di Andrea. Il quale era come tutti coloro che nei boschi sono cresciuti, li hanno considerati un po’ il loro giardino dei giochi più belli fin da piccoli, e continuano ad attraversarli e ad abitarli, per svago o per lavoro. E di fronte alla morte, e forse ancora di più a una morte così inaspettata e assurda, è difficile pronunciare parole di senso. Ci provo, sapendo che nulla può restituire Andrea a coloro che lo hanno amato.

Prima di tutto credo che in questo momento occorra abbassare i toni e soprattutto sia necessario che i molti «leoni da tastiera», come abbiamo imparato a conoscerli, scelgano per una volta il silenzio alle grida. So benissimo che è un’illusione, perché un’imbecillità finisce per diventare verosimile a forza di click. Troppi sono stati e continuano ad essere i commenti di chi – di solito dalla poltrona del proprio salotto e spesso dal cuore di una città di pianura – dispensa giudizi e consigli, dei quali chi abita un territorio immerso nei boschi e con la “salita” dietro casa non sa proprio che farsene.

Purtroppo i dispensatori di ricette magiche, gli odiatori del genere umano, i “vi-spiego-io-come-si-fa-quando-si-incontrano-gli-orsi-e-i-lupi-ecc-ecc…” trovano sempre lo spazio per dire la loro, non perdendo così l’occasione per dimostrare al mondo quanto manchino di virtù come la pietas, l’empatia, l’umiltà, l’ascolto, il senso del silenzio. Ma questo dovere di abbassare i toni e usare la ragione vale anche per la politica, al cui interno si trova sempre chi salta sul carro della propaganda per racimolare senza ritegno qualche voto in più.

In secondo luogo mi sembra importante non dare fiato alle trombe del fondamentalismo. Sono tra coloro che quando venne dato avvio al progetto Life Ursus sollevarono molti dubbi: il Trentino, dicevamo allora, non è più quello di secoli fa, e l’introduzione dell’orso dovrà fare i conti almeno con quattro questioni: una maggiore antropizzazione della montagna, un turismo di massa voluto dall’industrializzazione delle terre alte, una coscienza ecologista che non permetterà di toccare un orso senza sollevare un vespaio, un’agricoltura e un allevamento che cercheranno nicchie protette in quota per prodotti di qualità. Tuttavia, fra mille rassicurazioni il progetto si fece e in tanti che la montagna la frequentiamo anche in solitaria abbiamo dovuto, a malincuore, cambiare qualche abitudine (la partenza da soli, alle due di notte, per salire su un tremila in giornata attraversando in piena notte il bosco è diventata più “accorta”, per me come per tanti vecchi alpinisti come me).

A questo punto va detto che i progetti che si fanno poi si gestiscono, senza perdere tempo a dire che è colpa di chi c’era prima. E per gestire progetti di questo genere bisogna creare tavoli nei quali ci stanno tutti gli attori, cominciando da coloro che la montagna la abitano. I soggetti non sono la politica e la forestale. Sono la politica, la forestale, le associazioni di allevatori, i contadini che in quota lavorano, i rifugisti, le rappresentanze delle associazioni di alpinisti, le APT, gli ambientalisti, le associazioni sportive che in montagna si muovono, gli impiantisti, i sindaci dei comuni interessati, i veterinari, i cacciatori e via dicendo.

Far la voce grossa quando avviene una tragedia può servire a raccogliere qualche voto, ma lascia il tempo che trova. Ne ha parlato recentemente Messner, sostenendo che si devono mettere in campo tutti i soggetti perché la soluzione non è l’abbandono della montagna perché così gli orsi o i lupi hanno il loro spazio, ma la convivenza con animali talvolta molto problematici che in un caso, i lupi, sono arrivati per conto loro e in un altro, gli orsi, sono stati portati. La montagna, ha ricordato Messner, è quella che è perché è abitata, non perché è abbandonata a se stessa. E questa, per chi vive fra le montagne, è un’evidenza che fa parte della quotidianità.

L’iniziativa di un tavolo, che dovrebbe forse cominciare i lavori con una riflessione sul valore della vita umana e con un ricordo di Andrea, è politica, e sono i politici che la devono avviare, se vogliono fare il loro lavoro. Certo, i tavoli sono faticosi da gestire. Perché richiedono la virtù della mediazione. Ma dopo tante chiacchiere, è meglio chiamare tutti alla responsabilità di gestire una situazione piuttosto che ergere barriere. E il tavolo non può che essere largo. Difficile? Certo. Più facile dispensare ricette veloci o pontificare “l’avevo detto”. Ma io, che sulle montagne sono cresciuto, non vedo altre soluzioni.

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