Debre Libanos, i monaci uccisi dai fascisti

Mercoledì scorso Papa Francesco, incontrando Tawadros II, Papa d’Alessandria, capo della Chiesa ortodossa copta in visita a Roma, ha annunciato che sono martiri anche per la Chiesa cattolica i 21 cristiani copti assassinati nel 2015 dai jihadisti dell’Isis, Stato islamico. Un grande gesto. Ne attendiamo un altro.

Il 20 maggio ricorre l’anniversario della strage di Debre Libanos, in Etiopia, avvenuta nel 1937, quando l’esercito italiano fascista fucilò per rappresaglia 2000 (duemila!) monaci, seminaristi e pellegrini della Chiesa ortodossa etiope (dipendente da quella copta, ma poi separatasi). Quando li inseriremo nel martirologio cattolico? Ma, soprattutto: quando finirà il silenzio, dello Stato e della Chiesa, su questa orrenda strage? Il peggior crimine di guerra dell’esercito italiano? Compiuto contro cristiani da una nazione cristiana, dove il cattolicesimo era religione di Stato?

La Chiesa cattolica sostenne l’invasione dell’Etiopia, vista come “un’impresa missionaria”, come ricorda lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. E tacque sui crimini che l’esercito fascista commise: gas sui civili, campi di concentramento, stragi, come quella di Debre Libanos. Crimini ignorati dalla nostra storia ufficiale e dalla maggior parte degli italiani. Crimini sui quali hanno fatto luce alcuni storici che hanno infranto l’omertà nazionale, perdurante nell’Italia repubblicana. In particolare Giorgio Rochat, Angelo Del Bocca (che abbiamo ricordato su “Vita Trentina” dell’11 luglio 2021 in occasione della morte), Nicola Labanca, Paolo Borruso. Quest’ultimo, docente all’Università cattolica di Milano, è autore di un libro esemplare, per chiarezza, onestà, rigore: “Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia” (prefazione di Andrea Riccardi, Laterza, 2020).

I fatti. L’invasione italiana dell’Etiopia inizia il 3 ottobre 1935 e si conclude il 5 maggio 1936 con l’entrata delle nostre truppe ad Addis Abeba guidate dal Maresciallo Badoglio, distintosi per ferocia. La resistenza etiope non è però soffocata. Il 19 febbraio 1937 due eritrei attentano alla vita del successore di Badoglio, il generale Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, soprannominato “il macellaio”, che rimane ferito e che scatena una indiscriminata repressione. Prima nella capitale, dove migliaia di cittadini etiopi vengono massacrati dagli italiani, poi nell’intero Paese. La Chiesa ortodossa etiope è presa di mira. I due attentatori, nella fuga, si fermano nel grande monastero di Debre Libanos, ottanta chilometri a Nord di Addis Abeba, per poi fuggire.

Fondato dal monaco Libànos nel V secolo, Debre Libanos è in realtà un villaggio monastico, dominato dalla grande chiesa dedicata al santo monaco Takla Haymanot, mentre i numerosi monaci, diaconi, seminaristi vivono individualmente in piccole capanne. È un luogo venerato dagli etiopi e meta di pellegrinaggi. Graziani pianifica la rappresaglia contro il monastero in modo che avvenga nel momento di massimo afflusso di monaci e pellegrini. Il giorno previsto è il 20 maggio, 12 Ginbot per il calendario etiope, la festa più sacra dell’anno a Debre Libanos. Graziani ordina al generale Maletti: “Passi per le armi tutti i monaci, indistintamente, compreso il vice priore”. In questa sporca strage, l’esercito italiano manda in prima fila gli ascari libici e somali musulmani. Si cerca un luogo non visibile e lo si circonda per impedire che vi siano testimoni. Ma alcuni testimoni ci saranno. Il massacro comincia il 20 maggio e si conclude il 29. Prima sono uccisi i monaci inabili e ammalati. Poi via via tutti gli altri, caricati a gruppi sui camion, portati ai bordi di un precipizio o di fosse comuni e mitragliati. I corpi coperti di terra. I dati ufficiali italiani parlano di 452 uccisi, ma gli studiosi ritengono che siano tra i 1400 e i 2033. Altri saranno uccisi nei mesi seguenti, altri moriranno nei campi di concentramento. La ricostruzione dello storico Borruso è minuziosa. Anche del saccheggio totale del monastero. Anche nel ricordare che nessuno dei responsabili dei crimini fu chiamato a rispondere davanti alla giustizia. Anche del silenzio del mondo missionario italiano. I pochissimi che protestarono furono allontanati, con il consenso del Vaticano.

Ha scritto Andrea Riccardi nella prefazione al libro di Borruso: “C’è stata una corresponsabilità cattolica nel fomentare il disprezzo degli italiani per gli etiopici e la loro Chiesa”. Il razzismo contro gli africani, perdurante tra gli italiani, è fondato anche su quel disprezzo. Quando lo cureremo con la verità? Quando considereremo martiri i duemila monaci cristiani massacrati a Debre Libanos dall’esercito italiano fascista?

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