La real politik di Kissinger e il nuovo multipolarismo

Henry Kissinger – photo by Marsha Miller

Un compleanno di indubbia rilevanza. Il 27 maggio Henry Kissinger, nato Heinz Alfred Kissinger a Fuerth in Germania, raggiunge il traguardo dei 100 anni. Magari un po’ acciaccato fisicamente, ma dalla mente sempre vigile e di straordinaria capacità di visione. Nessuno ancora in vita può vantare maggiore esperienza di lui negli affari internazionali, prima come accademico e poi da “practitioner” in diplomazia e in politica. È stato infatti consigliere e Segretario di Stato di due presidenti americani, Richard Nixon e Gerald Ford, plasmandone in modo decisivo e sorprendente la politica estera in un periodo, quello della guerra in Vietnam, turbolento e tragico per l’America.

Kissinger sia da politologo che da politico ha sempre sostenuto con convinzione (ma anche con intelligenza) la teoria metternichiana della realpolitik nelle relazioni internazionali, che si sostanzia nel “concerto delle potenze” o nell’equilibrio fra gli stati nato dalla pace di Vestfalia (1648). Quindi non è mai stato un convinto sostenitore dell’UE e della sua natura di entità “sovranazionale”, anzi ne ha sempre sottolineato i limiti. Non ha quindi creduto nel processo funzionalista, un mix di politiche comuni ed istituzione, ispirato da un altro celebre personaggio, Jean Monnet, che è all’origine dell’attuale Unione europea.

In questo nostro periodo storico contraddistinto da una guerra nel cuore dell’Europa è di grande interesse comparare queste due filosofie contrapposte. Lo ha tentato in un recentissimo e brillante saggio Cesare Merlini dell’Istituto Affari Internazionali (Geopolitica e Interdipendenza, Le scuole di Henry Kissinger e Jean Monnet, Luca Sossella Editore, 2023). Sia Kissinger che Monnet condividevano lo stesso obiettivo: come assicurare stabilità e gestione ordinata nelle relazioni internazionali evitando per quanto possibile il ricorso alla guerra. Ma poi essi hanno preso due strade diverse per quanto riguarda strumenti e metodi per assicurare la pace.

Va subito detto che entrambi hanno avuto un discreto successo nei loro disegni di stabilizzazione dei rapporti fra stati.

Kissinger è riuscito a tirare fuori gli Stati Uniti dal pantano vietnamita e nel capolavoro di stabilire relazioni pacifiche con l’Urss e addirittura con la Cina.

Monnet ha indicato agli stati europei la via per diventare “partner” e non semplici nazioni in una Unione di “eguali”, dove le regole e le politiche comuni assicuravano il vantaggio dell’intera Unione.

Tuttavia, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin l’equilibrio mondiale appare profondamente modificato rispetto a quello ancora in essere qualche decennio fa al termine della guerra fredda. Una delle ragioni dell’aggressione dello zar moscovita è stata in effetti il rifiuto della gestione unilaterale degli affari internazionali da parte degli Usa, unica potenza mondiale. Per Vladimir Putin essere considerato un interlocutore di secondo piano era diventato insopportabile. Putin riteneva quindi che “solo gli stati sovrani e potenti possono avere voce in capitolo nell’ordine mondiale che sta emergendo”. Di qui la missione militare speciale contro Kyiv volta ad indebolire Europa e Usa.

All’inizio del conflitto la posizione espressa da Henry Kissinger è stata, a dir poco, molto prudente. La sua preoccupazione era che il confronto duro con Mosca avrebbe finito per spingerla nelle mani della Cina creando all’occidente due nemici e non solo uno (la Cina). Va tuttavia aggiunto che la guerra d’Ucraina, se da una parte ha creato un sommovimento nelle relazioni internazionali, dall’altra ha rafforzato l’Unione Europea e la sua capacità di agire in comune, perfino attraverso la concessione di fondi a Zelensky per l’acquisto di armi, cosa impensabile fino a poco tempo fa.
Ma se da un lato fino ad oggi l’UE è uscita abbastanza unita da questa crisi, facendo pensare che l’originaria intuizione di Monnet di passare gradualmente da comunità economica ad istituzione politica fosse davvero possibile, dall’altro lato la geopolitica nel resto del mondo ha ripreso vigore. Oggi ci troviamo infatti in un ordine internazionale sempre di più basato sul ruolo delle nazioni e contemporaneamente in una nuova polarizzazione fra Usa e Cina che tende a riproporre la competizione ai tempi dell’Urss. Al contempo il multipolarismo si riproduce a livello regionale, come accade nel Medio Oriente dove l’Arabia Saudita sta rimescolando i giochi con amici e nemici, fra cui l’Iran e la Siria, con la regia di Cina e Russia che hanno preso il posto di quella americana. Ciò spiega in parte la recente visita di Zelensky ai lavori della Lega Araba e, in margine al G7 di Hiroshima, anche il suo incontro con il premier indiano Modì, cioè con i rappresentanti di quel “Global South” che tanto assomiglia al gruppo dei paesi non allineati ai tempi dell’Urss.

Nel pensiero del presidente ucraino è quindi chiarissimo come il sostegno di Usa e UE sia condizione più che mai necessaria, ma non sufficiente ad isolare Mosca e a portarla al tavolo del negoziato senza l’intervento dei paesi neutrali del Sud.

Non vi è dubbio che in questo nuovo scenario geopolitico la scuola realista di Kissinger abbia avuto conferma, ma con le fragilità e con i rischi che gli equilibri si rompano e si trasformino in guerra. E quali effetti avrà la guerra sull’UE, che sembra muoversi ancora su modelli sovranazionali e integrativi? Al proposito Kissinger sottolinea che “l’Europa ha deciso di scostarsi dal sistema di stati vestfaliano da lei stessa progettato e di trascenderlo tramite un’idea di sovranità condivisa; ma non avendo capacità militari ha scarsa possibilità di reagire quando le norme internazionali vengono trasgredite”.

Insomma, quello europeo rimane un modello valido, ma deve ancora compiere il passo decisivo per divenire un vero e riconosciuto attore internazionale capace di confrontarsi con il nuovo ordine geopolitico multipolare.

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