Ettore e Antonio, la stessa pasta

Ettore Barion e Antonio Caproni Foto © Gianni Zotta

Hanno tutti e due la barba, citano spesso e volentieri il Vangelo, sono innamorati della loro moglie. Il numero dei figli è diverso: Ettore ne ha 7, Antonio 6 (ma altri 6 ragazzi in affido). I nostri due diaconi, pronti all’ordinazione di sabato 24, sono fatti della stessa pasta.

Sono stati loro stessi a scoprirlo, dopo esperienze personali per tanti aspetti molto diverse – l’uno in un noviziato dai Francescani, l’altro come fisioterapista nelle corsie del dolore – ringraziando il Signore per aver trovato l’uno appoggio nell’altro, anche nel cammino triennale di formazione che li porta sabato 24 in Cattedrale a ricevere dal vescovo Lauro l’ordinazione diaconale. “Attenti a quei due!”, verrebbe da dire, constatando una silenziosa complicità spirituale quando richiamano la parabola del Padre buono o quando scherzano sui loro passatempi insospettati: Ettore con la passione folgorante del pallone (ha giocato anche nella “nazionale” delle Famiglie Numerose contro la squadra del Vaticano), Antonio con l’hobby travolgente della musica che dà ritmo e allegria a giornate anche difficili.

Si sono scoperti della stessa pasta, ripercorrendo la loro vita in famiglie d’origine sempre ospitali – per Ettore in quel di Torbole sul turistico Lago di Garda, per Antonio nel generoso vivaio di Mori – le esperienze missionarie fra i poveri del mondo (in Romania e Ghana per il primo, in Brasile per 16 anni per il secondo), suscitate da una conversione gioiosa alla radicalità del Vangelo (come diceva don Oreste Benzi, il carismatico fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, alla quale Antonio appartiene con Sonia). Scelte di vita – ecco un’altra affinità provvidenzialmente riconosciuta dai due diaconi ultracinquantenni – portate avanti in piena condivisione con le mogli, pronte a dire “eccomi” forse ancora prima di loro stessi, dando così vita ad una sorta di “diaconalità coniugale” che già è cominciata nella concretezza della cura di tanti figli, alcuni dei quali particolarmente bisognosi di affetto. “È anche grazie alle nostre mogli che siamo arrivati lentamente a questa scelta”, testimoniano senza mezzi termini, confermando quanto la grazia matrimoniale e poi l’esperienza di famiglia aperta hanno contribuito a dare loro coraggio e condivisione.

Ma non trattiamoli da “supereroi” – citando una canzone a loro gradita – anche se oltre ad aprire le stanze delle loro case riescono a tenere contatti e portare avanti iniziative in posti tanto lontani; nel caso di Ettore, prende periodicamente l’aereo per andare in Romania e in Ghana a seguire i progetti avviati per bambini senza famiglia e ammalati. Di che pasta sono fatti allora? Qui l’immagine non può che essere evangelica ed è quella cara all’arcivescovo Lauro al punto da sceglierla come tema e titolo della lettera alla comunità che consegnerà lunedì a San Vigilio in Cattedrale: “Lievito e sale”.

Antonio sceglie un esempio quando gli sottoponiamo in anteprima questo tema. Racconta che si trova a dover frequentare spesso gli ospedali a causa dei ricoveri dei propri bambini per le cure mediche e spesso incontra altri genitori di piccoli ammalati con cui stabilisce rapporti profondi: “Trovo significativo quando leggono nel rapporto che abbiamo con i nostri ragazzi, anche se non è un legame di sangue, una condivisione che li commuove e talvolta anche li interroga. Ecco, non è merito nostro, è qualcosa che va ben oltre di noi – tiene a spiegare e precisare Antonio – è soltanto la capacità del Vangelo di essere fermento, lievito appunto.

Sul come, dove, quanto lieviterà, non sappiamo…ma vediamo che questo fermento succede”. Anche Ettore si lascia interrogare da una caratteristica del lievito, quella di crescere e operare lentamente nel silenzio. “Il lievito non fa tanto rumore, la crescita della pasta si percepisce poco, si vede gradualmente – osserva – ma così è quando si cerca di dare centralità alla Parola di Dio, nella condivisione…, penso alla prima accoglienza di cinque bambini in casa in Romania anche se non eravamo ancora sposati… Ecco, nonostante le nostre povertà, la Parola di Dio può crescere come lievito nel silenzio e diffondersi nelle nostre comunità”.

Buon diaconato, amici della stessa pasta! E, fin d’ora, grazie!

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