PD e M5S scontano l’incertezza di linea politica

Giuseppe Conte – (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Il campo largo non funziona: il verdetto che viene dal Molise sembra netto. Se i suoi sostenitori si consolano mettendo davanti la peculiarità di quella regione (un elettorato di dimensioni ridotte, un sistema regionale di connessioni familiari e clientelari), gli osservatori disincantati notano che comunque c’è stato un flop dei Cinque Stelle che lì in passate elezioni avevano avuto risultati notevoli (26 e 32%, ora il 7%), sicché non ci si potevano aspettare 26 punti di distacco col vincitore (fra il resto il candidato Cinque Stelle era il sindaco di Campobasso). Attribuire la sconfitta alla decisione del terzo polo di appoggiare il centro destra è ridicolo: significherebbe attribuirgli una presa di almeno il 10-15% dell’elettorato, il che farebbe impazzire di gioia Calenda e Renzi, ma è irrealistico.

Naturalmente a contrastare quel che emerge dai risultati delle elezioni amministrative ci sono i dati dei sondaggi che continuano a dare M5S intorno al 15% e ciò convince Conte che alle europee dove si vota non su radicamenti politici ma su schieramenti d’immagine ci sarà il grande rilancio. Forse ci crede anche Schlein, che non vuole deflettere dalla sua scelta sinistrorsa alla moda, sostenuta dal parterre di nuovi personaggi che grazie a lei hanno scalato i vertici, compresi, per alcuni, quelli degli inviti ai talk show. Il rifugiarsi nel mito della “estate militante” non pare una strategia, ma solo l’ennesima riduzione della realtà ad uno slogan che si crede possa suonare bene. Eppure ci sarebbero spazi per una politica di opposizione degna di questo nome. Le tensioni che esistono nell’ambito della coalizione di governo potrebbero essere sfruttate per incunearsi nella dialettica parlamentare. Non parliamo certo dei soliti spettacolini contro questo o quel ministro: non perché siano sempre infondati, anzi, ma perché non sono in grado di mettere davvero in crisi una maggioranza di governo che non spingerà i propri litigi al limite di mettere a rischio la sua permanenza al potere.

Del resto la maggioranza ha perfettamente capito le debolezze delle opposizioni, la principale delle quali è proprio l’incertezza di linea politica tanto del PD quanto di M5S. Nonostante le pressioni che arrivano a Schlein da autorevoli padri fondatori, la segretaria è incapace di occuparsi di dossier spinosi, ma riguardanti problemi concreti. Basta pensare alla questione della sanità, dove è inutile fantasticare su un impossibile ribaltamento della situazione, mentre sarebbe sfidante proporre alcuni interventi specifici, comprensibili al pubblico degli utenti, su cui imporre al governo di intervenire.

I Cinque Stelle sono ormai chiaramente incapaci di fare politica uscendo dalle logiche logore del grillismo che denuncia tutto e il contrario di tutto. Non è solo un problema di Conte, sempre meno affidabile come leader, ma un problema di tutto il gruppo dirigente e della sua presenza parlamentare. I pentastellati, come del resto Schlein e compagni, rifiutano di accettare che sta tramontando l’era del “vaffa” e della fuga in direzione di tutti gli utopismi che piacciono ai media. Ciò pone il problema niente affatto secondario di una aritmetica elettorale che appare ingovernabile: senza una alleanza “larga” degli oppositori al destra-centro non si può pensare di contare (e non parliamo di vincere), ma non si può farla mettendo insieme pezzi che vanno ciascuno in direzioni diverse. Si può raccontarsi che è fattibile privilegiando gli aspetti su cui c’è accordo e sorvolando sugli altri, ma raramente funziona come mostrano tanti esempi (ricordarsi dell’Ulivo e dell’Unione, tanto per dire).

Perché si possa agire in contesti di quel tipo ci vuole una leadership in grado di imporre la sua visione come elemento egemonico e unificante. Siccome non c’è, ci si racconta che non serve perché nessuno vuole l’uomo solo o la donna sola al comando. Ma così non si cava il classico ragno dall’altrettanto classico buco. La destra-centro quel leader con un suo disegno che costringe tutti a stare ai patti ce l’ha ed è Giorgia Meloni. Non che sia una guida pacificamente accettata, anzi Salvini ed altri ne farebbero volentieri a meno, ma non sono in grado di scalzarla. A lei farebbe comodo avere una opposizione degna di questo nome, perché la rafforzerebbe nella sua leadership e le consentirebbe di tenere sotto controllo le intemperanze della sua coalizione, ma ovviamente non può far nulla per costruirsela e così le va anche bene non doversi misurare con un avversario che possa impensierirla.

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