Il teatrino delle polemiche e i problemi del cambiamento

Giorgia Meloni accoglie il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (Foto: Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Non si sa quanto convenga perdere tempo col teatrino delle polemiche che mette in scena repliche stanche di copioni già visti. La querelle sulla giustizia è abbastanza stucchevole: da una parte i pasdaran della maggioranza che risvegliano i fantasmi del berlusconismo evocando improbabili complotti delle toghe; dalla parte opposta un sindacato dei giudici che non riesce ad abbandonare le posture da contropotere sovrano che reclama posizioni di privilegio. Sarebbe meglio per tutti uscire da questo vortice, ma ovviamente è difficile, perché la maggioranza è sotto pressione delle opposizioni fiancheggiate da un certo apparato dei media e perché gli equilibri di potere interni all’ANM si reggono sulla continuazione di una contrapposizione con la politica. Non si sa come procederanno le cose, ma quel che è certo è che ci sarebbero problemi ben più seri da affrontare.

Il primo riguarda la nostra posizione nella politica internazionale, più che mai in una situazione di crescenti tensioni. La guerra in Ucraina continua a promuovere un riassetto del sistema di alleanze. Come dimostra il vertice di Vilnius lo scontro fra Occidente e neo imperialismo russo si inasprisce. Si amplia il fronte di contenimento dell’espansionismo di Putin con ormai il confermato ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, chiaro segnale che si sta ragionando su un ritorno degli appetiti russi verso il grande Nord. Del resto sono dinamiche storiche di lunghissimo periodo, anche se dimenticate: la Svezia fu in secoli passati una grande potenza che minacciava la Russia, la Finlandia è stata fino alla Prima Guerra mondiale dominio degli zar, l’Ucraina, terra dei cosacchi, ha un intreccio più che complicato con le vicende del principato moscovita. Il via libera di Erdogan all’ingresso della Svezia nella Nato risponde alla presa di coscienza del realismo di fronte alla delicata situazione del Nord. Certo questo pone un problema non indifferente sul fronte Sud del Mediterraneo, dove non ci sono minacce di invasioni imperiali, ma piuttosto fenomeni di grandi flussi migratori che per ora non si vede come arginare.

Per l’Italia ciò rappresenta un problema e un’opportunità. Un problema perché il concentrarsi dell’attenzione su quanto avviene ai confini della Russia ci mette in una posizione relativamente marginale. Un’opportunità, perché, come tenta di fare il governo Meloni seguendo peraltro rotte già tentate dai migliori governi precedenti di segno diverso, può significare il riconoscimento di un ruolo importante del nostro paese nella gestione delle crisi africane (certo ci sono i problemi di concorrenza con la Francia, ma si potrebbero trovare delle sinergie).
Tutto questo richiede però che l’Italia sia un paese stabile con classi politiche, di governo e di opposizione, che sanno gestire fenomeni complessi invece di perdere tempo a polemizzare giusto per godersi l’attenzione del teatrino mediatico e nella speranza di rosicchiare qualche punto per il consenso elettorale. Purtroppo siamo abbastanza lontani da questi orizzonti.

Preoccupa in quest’ottica l’eterna diatriba sul PNRR. Siamo in difficoltà nel gestire una massa di denaro ottenuta da politici sprovveduti che pensavano che bastasse inventarsi progetti per vederli realizzati senza problemi. Abbiamo un sempre più evidente rapporto complicato con le burocrazie di Bruxelles, un po’ pregiudizialmente poco inclini a considerarci un sistema all’altezza di impiegare finanziamenti cospicui, un po’ condizionate da una scarsa simpatia per l’avanzare di forze di destra nell’ambito delle quali Giorgia Meloni costituisce un riferimento positivo per una parte consistente dell’opinione pubblica.

Non sappiamo quanto siano fondate le notizie di stampa sulla difficoltà di ottenere la quarta rata del finanziamento europeo che dovrebbe arrivarci a fine anno. Sono notizie che vengono fatte filtrare per opposte manovre: di chi vuole indebolire il consenso alla maggioranza di governo e di chi vuole darle armi di pressione per superare gli ostacoli che continuano a proporsi davanti all’azione dei poteri pubblici. È probabile che ci sia un combinarsi dei due elementi, ma resta il fatto che quella sul PNRR è una battaglia essenziale, altro che quelle dei teatrini delle polemiche: per avere un ruolo significativo nel quadro complicato di questo mondo scosso dalle instabilità bisogna mostrare di sapere innanzitutto governare il proprio paese. Sarebbe interesse comune di tutti, solo se ce ne rendessimo conto.

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