Emanuele e Simone, una settimana sui pedali nel cuore delle Dolomiti: tra crisi climatica e turismo di massa nasce il documentario “Lìmit”

Emanuele Rippa e Simone Gislimberti, pronti a salire in sella

Due gravel, i bagagli con lo stretto necessario (tende comprese), un furgone al seguito per le riprese e il supporto logistico. Partiranno così, il 31 luglio da Povo, Emanuele Rippa e Simone Gislimberti, per un viaggio in bicicletta nel cuore delle Dolomiti con l’obiettivo di raccontare due delle maggiori sfide che i territori alpini si trovano ad affrontare in questo periodo storico e che hanno forti effetti l’una sull’altra: la crisi climatica e il turismo di massa. È questa l’essenza del progetto “Lìmit”, un percorso in otto tappe che diventerà, nella prossima primavera, un documentario – con le immagini di Stefano Stroppa – da portare ai festival dedicati e nelle scuole, e per il quale è già attiva una raccolta fondi sulla piattaforma di crowdfunding “Produzioni Dal Basso”.

Lìmit, in ladino, significa appunto limite”, ci spiega Emanuele Rippa, studente in sviluppo sostenibile all’università di Firenze, raccontandoci la genesi dell’iniziativa che si colloca all’interno del progetto “Buen Vivir”, nato nel giugno del 2022 durante un viaggio in Ecuador, e che ora prosegue anche in Trentino. “Limite che oggi è perso e quindi va ritrovato, assieme all’equilibrio, all’armonia. Perché se da una parte vi sono territori che si spopolano e muoiono, dall’altra, ci sono valli, come quelle che percorreremo, iper trafficate e soffocate dal cemento”.

Diverse le tappe previste in otto giorni sui pedali (ritorno escluso, “ma anche quello sarà in sella”, anticipa il giovane attivista che negli ultimi anni si è occupato di sostenibilità, crisi climatica e disuguaglianze), con arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, passando per alcuni luoghi “simbolo” della pressione antropica e dell’incompatibilità del turismo di massa con la fragilità dell’ecosistema alpino: dal lago di Carezza quotidianamente assediato da automobili e moto, al rifugio Passo Santner sul Catinaccio, al centro delle polemiche per il suo ampliamento. E ancora i trafficati passi Sella e Gardena, fino a Cortina, che nell’inverno 2026 ospiterà le Olimpiadi.

“Non vogliamo dire ‘no’ a prescindere, le Olimpiadi sono un’opportunità gigantesca. Il problema è come vengono gestite. Si sarebbe potuto fare altrimenti? Probabilmente sì, organizzandole diffuse e utilizzando strutture già esistenti, senza costruirne di nuove e diminuendo il numero delle persone ospitate sul territorio. La promessa iniziale di sostenibilità, ci pare, sia rimasta soltanto nelle parole”, rilancia Rippa.

Lungo il percorso ci saranno numerosi incontri. Con gli amici che vorranno accompagnarli e affiancarli in bicicletta per un pezzo di strada assieme, ma anche – per costruire un quadro il più completo possibile della situazione – con alcuni esperti che da anni studiano e si interrogano sui cambiamenti che stanno avvenendo nei territori montani: Mauro Job, avvocato che si occupa di Asuc e domini collettivi, l’antropologa culturale Marta Villa, il fisico e climatologo Roberto Barbiero, Michele Nardelli, autore del libro “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa”, Luigi Casanova, custode forestale nelle valli di Fiemme e Fassa ora in pensione, voce storica dell’ambientalismo, e Sara Segantin, attivista, scrittrice, comunicatrice scientifica e alpinista.

L’idea del viaggio è nata domandandomi se fosse possibile andare in montagna in modo diverso, se fosse giusto e coerente salirci in macchina quindici volte in una estate, diventando di fatto parte del problema”, spiega ancora Rippa. “Vogliamo parlare ai giovani, ma anche agli appassionati di montagna e outdoor, non sempre consapevoli dell’impatto che loro stessi hanno sull’ambiente”.

La chiusura di un passo alpino ai motori, esemplifica Rippa, per chi in quei luoghi lavora, non è per forza un dramma, ma può diventare un’opportunità da sfruttare. Semplicemente perché un turista in bicicletta si muove più lentamente di una moto o di un’automobile e probabilmente cercherà un posto dove dormire per proseguire il suo viaggio il giorno seguente. “Certo, ci vuole tempo a scardinare una mentalità che affianca ancora troppo spesso il concetto di libertà a un motore – prosegue – ma, almeno, non sarebbe ora di provare a fare qualcosa di diverso?”.

Se da un lato il documentario racconterà le sfide e le minacce che le comunità montane si trovano ad affrontare, dall’altro, conclude Rippa, “lasceremo i giusti spazi per ascoltare anche le storie virtuose, le voci e le esperienze di chi questi luoghi li vive tutto l’anno e sta provando nel suo piccolo a portare un cambiamento”.

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