Predazzo, don Gino e don Filippo festeggiano i sessant’anni di sacerdozio

Don Gino Boninsegna ( a sinistra) e don Filippo Boninsegna, sacerdoti da 60 anni

Sono stati i primi sacerdoti ordinati dal vescovo Alessandro Maria Gottardi nel 1963, hanno concelebrato la prima Messa a Predazzo il 30 giugno di quell’anno, si sono ritrovati insieme a festeggiare il loro 60° anniversario dall’ordinazione nel giorno di San Giacomo e sono anche secondi cugini: sono don Filippo Boninsegna classe 1938 e don Gino (Luigi) Boninsegna classe 1939.

Da bambini, entrambi chierichetti, frequentavano l’oratorio e avevano una certa ammirazione per il parroco soprattutto quando celebrava la Messa. Don Gino ricorda in particolare che faceva parte del gruppo aspiranti dell’Azione Cattolica e il cappellano che li seguiva, spesso gli chiedeva: “Vorresti fare il sacerdote?”. Lui non ci aveva mai pensato, ma un giorno chiese a sua madre se “sarebbe stata contenta se io fossi entrato in seminario: lei mi rispose con un gran sorriso, che ricordo tutt’ora, e fu come il via libera”. Invece don Filippo, da piccolo, si immaginava di diventare autista e poi ingegnere forestale “perché avevamo un amico di famiglia che faceva questo mestiere e io ne ero affascinato”; dava una mano a distribuire gli inviti alle riunioni dell’Azione Cattolica. Crescendo poi ammirò l’attività dei cappellani e “la grande fede del parroco anziano Bepi Zorzi e quando gli dissi che volevo entrare in seminario mi rispose: era ora!”.

L’intero percorso di studi, per entrambi, si svolse a Trento. Don Gino ricorda sorridendo che “in seminario all’epoca vi erano quattro sezioni con 160 alunni: ci chiamavano preti di allevamento”.

Don Gino e don Filippo Boninsegna in corteo con le famiglie a Predazzo nel 1963

Dopo l’ordinazione don Gino iniziò un anno come prefetto di teologia che significa assistente dei chierici, poi due anni presso la parrocchia di Cristo Re a Trento. Nel 1966 “il vescovo Gottardi mi mandò a Milano all’università Statale a studiare scienze naturali. Vivevo presso la parrocchia dei Santi Martiri Anauniesi affidata all’epoca a sacerdoti trentini”. Furono anni formativi sia per la pratica in parrocchia sia perché visse gli anni della contestazione. Nel 1971 si laureò e rientrò a Trento: iniziò ad insegnare nel Collegio arcivescovile, attività terminata nel 2011, era anche assistente dei convettori”. Dopo la pensione don Gino è rimasto ancora nell’ambito delle scienze. “Ho avuto l’incarico di riordinare il museo del collegio, tra minerali, animali imbalsamati e strumentazioni varie”. Ora si dedica alla parrocchia di Zivignago.

Per don Filippo, invece, la prima parrocchia fu Pinzolo fino al 1965, poi fu educatore al seminario minore dal 1966 al 1969. Nel 1970 andò a Roma dai salesiani dove studiò un anno Pedagogia. Rientrò in Trentino a Povo come cappellano dal 1972 fino al 1975. “Nello stesso anno, mio zio don Francesco, che era parroco a Maia Bassa di Merano, ebbe un infarto e allora chiesi al nostro Vescovo di poterlo raggiungere per dare una mano nella sua parrocchia”. Cominciò così la sua avventura in Alto Adige che lo portò ad essere incaricato per i fedeli di lingua italiana a Lana fino al 1987. “Alloggiavo nel convento dei Padri Teutonici e con loro parlavo tedesco”, ricorda don Filippo che fu poi parroco a Calceranica dal 1988 al 2001; di nuovo a Bolzano parroco alla Sacra Famiglia fino al 2014, poi incaricato per la comunità di lingua italiana a Gries fino al 2021 ed oggi collaboratore nella parrocchia Tre Santi a Bolzano.

Un lungo impegno in mezzo alla gente, in ambiti diversi, con inevitabili difficoltà che però hanno affrontato con fede e obbedienza sempre al primo posto. Don Gino, ad esempio, ricorda che il primo anno da sacerdote, tornato a casa per un periodo di riposo in estate, ricevette una telefonata dal vicario che gli diceva di ripartire subito perché doveva andare in Val di Gresta presso una colonia estiva delle Pontificie Opere. “Naturalmente ho obbedito, ma con una certa fatica. Dopo qualche tempo ricevetti una lettera da mia madre che, seppur dispiaciuta di non avermi a casa, mi incoraggiava con la frase dal Vangelo di Luca che si può riassumere così: chi mette mano all’aratro non si volti indietro. Questa lettera mi è sempre servita nei momenti di sconforto”.

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