Vacanze parlamentari, ma l’autunno incalza

Il Governo Meloni

Il parlamento si avvia a sospendere i suoi lavori per la pausa estiva in un clima piuttosto teso. Lo scontro tra maggioranza ed opposizione è molto aspro, più di quel che ci si potrebbe attendere in una normale dialettica politica. I temi per un confronto serio e non viziato da barricate ideologiche non è che manchino: dai problemi legati al lavoro, alla gestione del PNRR, alla nostra politica internazionale che ha imboccato una strada interessante, ma tutt’altro che semplice, per finire con i preparativi della legge di bilancio, c’è ampia disponibilità di argomenti su cui confrontarsi anziché soggiacere al vizio di fare a cornate. Alcune delle questioni elencate sembra non interessino molto. La politica estera è importante, siamo in una fase delicata delle relazioni internazionali, ma pare che la faccenda coinvolga solo la nostra premier e qualche ministro, al massimo con l’appendice di qualche osservatore competente.

Da parte delle forze politiche c’è scarso interesse, eppure su quel terreno Meloni ha conseguito sinora buoni risultati. La sua scelta di puntare a ottenere una specie di incarico dagli occidentali a occuparsi dell’Africa (il cosiddetto piano Mattei) è una scommessa importante per la crescita del nostro peso nel turbolento scacchiere mondiale. Non abbiamo visto un qualche leader di peso discutere del tema, né se ne occupano se non marginalmente i talk show. Non è l’indice di classi dirigenti all’altezza del momento storico. Ci si butta invece su quel che può fare polemica, come la stiracchiata storia della confusa fine che sta facendo il reddito di cittadinanza: gli uni lo hanno stoppato come avevano annunciato in campagna elettorale, gli altri non spiegano come si possa uscire dalla logica del finanziare all’infinito una platea di più tre milioni di individui. Scambiarsi accuse a base dei soliti slogan (volete finanziare chi non ha voglia di lavorare, no, voi odiate i poveri) serve a fare spettacolo, non a risolvere problemi cronici del nostro sistema sociale.

Lo si vede abbastanza bene nella diatriba sull’introduzione di una legge per il salario minimo. La sinistra avrebbe potuto cogliere il successo di aver fatto abbandonare alla destra la chiusura secca su questo tema, ma sembra preferire un confronto muscolare al sedersi ad un serio tavolo di confronto. Certo sostiene che la destra questo alla fine non lo vuol fare e vuol solo rinviare tutto a settembre per poi insabbiare, ma non serve affermarlo in astratto: è necessario costringere la destra a scoprire le sue carte. È vero che troppi preferiscono il gioco al massacro delle commissioni di inchiesta parlamentari: strumenti che servono solo a far palcoscenico (qualcuno ricorda la fine di quella sulla banche presieduta dall’on. Casini?) e non portano ad alcun risultato concreto.

Sul PNRR ci sarebbe molto da discutere, ma non per lanciarsi reciproche croci addosso, ma per affrontare i problemi che una volta di più sono venuti alla luce grazie ad esso: le sperequazioni esistenti nella capacità di intervento fra regioni e comuni, le manchevolezze dei ministeri, il problema del peso che sul sistema esercita lo squilibrio del nostro Mezzogiorno.

Sono cose di cui a Bruxelles e nelle cancellerie dei 27 membri della UE si è presa buona nota, anche se sono argomenti che verranno tirati fuori al momento per essi opportuno, mentre per ora si può andare avanti pur con qualche alzata di sopracciglia. La ricerca di un impegno condiviso al massimo possibile sulla legge di bilancio che andrà varata entro fine anno è cruciale. Senza un accordo di massima su alcune regole non si potrà contenere la domanda di tutti i partiti di avere norme che distribuiscano mance e benefit ai rispettivi elettorati di riferimento: nel 2024 abbiamo le elezioni europee, tutti sanno cosa significhino per ogni forza politica e già vediamo che i vari potentati si stanno affannando per avere scalpi da esibire per le rispettive platee (la vicenda della legge sulla autonomia differenziata delle regioni è emblematica in questo senso).

La situazione della finanza pubblica non è tale da poter sopportare manipolazioni in vista di regalie varie da distribuire: la nostra economia è in una fase tutto sommato buona, nonostante qualche momentanea flessione, sicché non sarebbe proprio il caso di azzopparla cedendo a populismi e demagogie che, purtroppo, interessano una fascia molto ampia della nostra classe politica.

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