Colpi di coda populisti prima delle lunghe ferie

Giorgia Meloni. Foto Presidenza del Consiglio dei ministri

Il governo ha voluto andare in ferie dando spettacolo di grande efficienza, ma è caduto come sempre nelle sabbie mobili del populismo (non a caso Meloni ha lasciato la scena a Salvini nella conferenza stampa di commento delle decisioni). Non è solo questione del solito “decreto omnibus”, un fritto misto in cui si infila di tutto senza alcuna logica di omogeneità: seguiranno le solite lamentele su questo modo di fare, anche dalle sedi più alte delle nostre istituzioni, ma come sempre si dovrà lasciar andare, perché non ci sono gli strumenti per fare diversamente.

Sull’onda dello sconcerto per i fatti di Rovereto si è tornati al problema di gestione dell’immigrazione clandestina e irregolare. La soluzione è riandare ai centri di detenzione per chi è colpito da procedimento di espulsione, ma i centri non ci sono, metterli in piedi è complicato, pochi se ne vogliono fare carico, anche perché poi gli espulsi nessuno li vuole indietro. Alla fine più che altro si incrementerà il personale delle forze di polizia (ammesso che si trovino le coperture economiche): non è male, ma non basta e comunque richiederà tempo perché il nuovo personale va selezionato ed addestrato.

Per fare un po’ di demagogia si è introdotta una tassazione momentanea sugli extra profitti delle banche. Anche qui una misura pasticciata, alla fine ridotta nell’entità con la prospettiva che il parlamento la riduca ancora, con dubbi sul fatto che sortisca qualche effetto più benefico che procurare un crollo in borsa delle azioni delle aziende di credito. Noi non siamo alieni da critiche al nostro sistema finanziario, ma non è così che si raggiungono risultati, oltre tutto riducendo la questione a tutelare chi ha contratto mutui a tasso variabile. Non ci sembra la categoria economica in maggiori difficoltà in questo momento. Un discreto pastrocchio è la misura per far fronte all’inefficienza del servizio dei taxi nelle maggiori aree urbane. Il governo si è accorto che non è possibile per salvare gli extra profitti dei tassisti avere città importanti con un servizio scarso. Tutti sanno che Londra e Parigi hanno molti più taxi di Roma e Milano, che anche in città medie come Bologna con l’aumento del turismo trovare un taxi (a anche un’auto a noleggio con conducente) in certe ore e in varie contingente è un’impresa inaffrontabile e che di conseguenza la protesta pubblica aumenta. Il governo ha trovato la furbata, probabilmente per non scontentare Lega e FI, ma anche settori di FdI: via ad un aumento delle licenze, ma ai sindaci l’onere di metterle in vigore. Come dire: la protesta già annunciata delle categorie la scarichiamo sulle amministrazioni di ogni singola città e se la vedano loro. Come minimo il modo sicuro per aprire una molteplicità di vertenze e di soluzioni che non gioveranno certo alla riconfigurazione di un servizio pubblico ormai essenziale (perché  questo è il trasporto con le auto bianche).

In questa confusione non si vede l’opportunità di infilare una norma sulla “liberazione” della società per la costruzione del ponte di Messina dal vincolo dei 240mila euro l’anno di compenso per i suoi manager. Consapevoli della pessima impressione che poteva fare, la si è poi precisata frettolosamente come diretta solo a particolari figure tecniche con altissima professionalità. A prescindere dal fatto che è dubbio che per ottenere questi apporti fosse necessaria quella norma (non si poteva procedere con contratti con società di professionisti che come tali non soggiacciono a quei vincoli?), non si vede che requisiti di necessità ed urgenza ci fossero visto che stiamo parlando di un’opera che, ben che vada, partirà fra un anno. La spiegazione purtroppo è che nessun ministro e nessun ministero riesce a resistere all’inveterata abitudine di infilare norme di interesse ristretto e limitato in ogni decreto legge che, avendo obiettivi importanti, ha la quasi certezza di essere approvato. Il Presidente della Repubblica ha più volte deplorato il fatto, come peraltro era stato rilevato anche da molti suoi predecessori, ma i risultati di questi moniti sono stati nulli.

Piccola nota positiva (forse) è la decisione del governo di andare ad un confronto con le opposizioni sul tema del salario minimo fissato per legge. Sperando che tutti non ne facciano oggetto di sceneggiate per sventolare le rispettive bandierine, una convergenza sul contrasto al fenomeno del lavoro sottopagato sarebbe un buon segnale.

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