Quando il Papa parla di indietrismo…

Foto SIR/Marco Calvarese

Dal clericalismo all’ambientalismo, a papa Francesco non piacciono proprio gli “ismi”. Ce n’è uno in particolare che lui stesso ha coniato – l’indietrismo – e che merita di essere considerato con maggiore attenzione, sia per il dibattito suscitato da alcuni gruppi cattolici conservatori, sia perché si tratta di una postura ecclesiale che ostacola lo stile sinodale.

Andiamo allora direttamente alle fonti – ovvero agli interventi del Papa – come ci insegna ogni domenica da qualche settimana su Avvenire la giornalista di origine argentina Stefania Falasca, amica di famiglia da lunga data di Bergoglio, nella rubrica “Io seguo la Chiesa” in cui passa in rassegna i principali temi del magistero di Francesco espressi sia nelle encicliche che nei discorsi e nelle interviste.

Partiamo allora dall’ultimo dialogo in cui Francesco ha dedicato all’indietrismo un’articolata risposta ad un giovane gesuita portoghese – si era in agosto a Lisbona dove, come fa sempre nei viaggi il Papa ha dialogato con i suoi confratelli – che lo interrogava rispetto alle critiche di alcuni vescovi americani sul suo modo di condurre la Chiesa.

“Hai verificato che negli Stati Uniti la situazione non è facile – è stata la risposta di Francesco – : c’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata, che struttura un’appartenenza anche affettiva. A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile, e bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale purché si seguano i tre criteri che indicava già Vincenzo di Lérins nel V secolo: che la dottrina si evolva ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. In altre parole, anche la dottrina progredisce, si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diviene più ferma, ma sempre progredendo. Il cambiamento si sviluppa dalla radice verso l’alto, crescendo con questi tre criteri”.

Questa è stata dunque la spiegazione del Papa dei tre criteri di Vincenzo di Lerins, affermando dunque che alcune questioni possano essere riaffrontate e definite in una “giusta evoluzione”. Lo stesso Papa ha portato alcuni esempi: “Oggi è peccato avere bombe atomiche; la pena di morte è peccato, non si può praticare, e prima non era così; quanto alla schiavitù, alcuni Pontefici prima di me l’hanno tollerata, ma le cose oggi sono diverse. Quindi si cambia, si cambia, ma con questi criteri. A me piace usare l’immagine ‘verso l’alto’, vale a dire ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Sempre su questa strada, che parte dalla radice con una linfa che sale e sale, e per questo il cambiamento è necessario”.

Secondo Bergoglio è lo stesso pensatore francese del quinto secolo, Vincenzo di Lérins, a fare il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite è errata”.

Il Papa, dunque, mentre dimostra di voler continuamente vagliare le acquisizioni che le scienze possono dare al discernimento teologico, chiama “indietristi” quelli che “si chiamano fuori, vanno all’indietro” e nella stessa conversazione a Lisbona in cui ha parlato dell’atteggiamento verso le persone con orientamento omosessuale (vedi pag. 14) riconosce che gli stessi moralisti “devono esaminare oggi sono molto gravi, e per affrontarli devono correre il rischio di cambiare, ma nella direzione che dicevo”. Quanto egli sia impegnato a non coltivare queste posizioni anche in campo liturgico lo ha spiegato in un altro incontro con i gesuiti – quelli ungheresi nel viaggio del maggio scorso – confidando che per frenare questa “malattia della nostalgia” ha preso la decisione di rendere “obbligatorio ottenere la concessione di celebrare secondo il Messale romano del 1962 per tutti i nuovi preti appena consacrati.. l’ho deciso – ha spiegato – perché ho visto che quella misura pastorale ben fatta da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI veniva usata in modo ideologico, per tornare indietro”.

Al Papa preme che queste posizioni non producano fratture nella Chiesa, non si trasformino in sette, e questo succede quando “l’ideologia soppianta la fede, l’appartenenza a un settore della Chiesa rimpiazza l’appartenenza alla Chiesa”.

Ma la trattazione più completa del tema è contenuta nel discorso dell’11 ottobre 2022, a 60 anni esatti dall’inizio del Concilio Vaticano II, in cui peraltro muove forte critiche anche al progressismo di chi si lascia trasportare dal vento della modernità: “Sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo – o l’ ‘indietrismo’ – che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà – ha detto, tranciante, il Papa. Sono egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele”.

Non sono dibattiti accademici: anche nel Cammino sinodale – lo ha rilevato all’avvio nel giugno 2022 – “le tentazioni di rimanere fermi sono tante; la tentazione della nostalgia che ci fa affermare che altri sono stati i tempi migliori, per favore non cadiamo nell’’indietrismo’ di Chiesa, che oggi è alla moda”.

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