Marco Boato, storia di uno spreco… fruttuoso

copertina del libro di Marco Di Salvo – Marco boato, il moderato intransigente

LO SPUNTO:
Fare bene il parlamentare è un lavoro complesso, un mestiere difficile, impegnativo. (…) È difficile oggi vedere in questi rappresentanti del popolo la dignità che ebbe un tempo la prima generazione di parlamentari, molti dei quali avevano avuto modo, grazie al regime fascista, di studiare e riflettere a lungo nelle carceri o al confino, Marco Boato è stato uno dei migliori parlamentari che abbia avuto modo di conoscere. – Carlo Romeo
La storia di Marco Boato è simbolicamente la storia di uno spreco. In lui è rappresentato pienamente ciò che ha saputo farsi l’Italia di una generazione, quella giunta a maturità fra gli anni Sessanta e Settanta, che è stata di fatto esclusa dalle leve del potere politico del nostro paese. Uno spreco di risorse intellettuali, di capacità politica… – Matteo Di Salvo

Questi due brani, il primo di uno storico, il secondo di un giornalista introducono la biografia di Marco Boato che lo stesso Di Salvo ha scritto. Il libro (281 pagine) è uscito le scorse settimane per le edizioni Efesto. Boato, di nascita veneziana, è stato un protagonista della storia trentina e nazionale del Novecento. La sua immagine è associata soprattutto agli anni di Sociologia (fu matricola 250) alla contestazione studentesca, alle lotte per i diritti civili e sindacali. In questo senso, percorrere le tappe umane e politiche della sua vita consente non solo di rammentare, ma anche di capire tutta la storia, difficile e tragica di quegli anni, dalle stragi di stato alle provocazioni violente, dai “movimenti” (fu uno dei fondatori di Lotta Continua) al sequestro Moro, fino agli anni più recenti della Bicamerale. La sua immagine resta legata soprattutto alle grandi manifestazioni trentine di quel periodo, agli incontri di massa fra studenti e operai.

Boato era un leader naturale, che si era poi “perfezionato” nelle assemblee, nelle strade e nello studio politico e sociologico, ma bastano le prime righe dei due testi che introducono il libro e che sopra abbiamo citato, per aprire nuove finestre sulla sua personalità e sul suo ruolo, che fu complesso, ma che risultò fondamentale, così da restituire la sua figura alla storia, e alla sua piena comprensione, liberandola da stereotipi e giudizi approssimativi. Non a caso, con felice e coraggiosa scelta, la biografia porta come sottotitolo “Il moderato intransigente”, perché egli era certo intransigente, con se stesso innanzitutto, nei valori di giustizia sociale e nei diritti civili, ma appariva spesso, nel contesto di quegli anni, un “moderato” e la ragione la si ritrova proprio nel libro, nella seconda parte – interessantissima, tutta da riscoprire – che riporta i testi di alcuni suoi interventi e articoli (va assolutamente riletto l’articolo, apparso su “Lotta Continua” dopo il sequestro di Aldo Moro con il titolo “Né con lo Stato, né con le Br. E poi?” che suscitò vastissima eco, e anche forti reazioni, risultando peraltro decisivo nel mostrare quanto fosse perdente la linea intrapresa dalle BR. La chiave di volta per capire Boato sta infatti in quell’interrogativo finale: “E poi?”. Non se lo chiese solo durante gli angoscianti giorni d Moro, se lo chiedeva sempre davanti alle scelte di politica e di azione : “E poi?”. Se lo chiedeva nelle piazze di fronte alle minacce di violenza, quando studenti e forze dell’ordine si trovavano schierati a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, se lo chiese a Montecitorio, e per questo divenne un bravissimo deputato, che non solo i candidati al parlamento, ma tutti i giovani che si presentano per essere eletti ad una rappresentanza, dovrebbero studiare nel metodo… una vera scuola di scienze politiche.

Non messaggini, annunci, promesse e “twitt”, ma chiedersi “E poi?”. In tutto il suo percorso, come si ricava dal libro, Marco Boato non consentì, infatti mai, che l’ideologismo prevalesse sulla sua intelligenza politica, rifiutò sempre di diventare settario per promuovere invece una dialettica costruttiva fra le parti, per predisporre e far crescere, anche fra distanze molto rilevanti (non temeva le diversità) rapporti e relazioni più equi. Essere un “moderato intransigente” non era peraltro facile, e non lo è neppure ora, ma è per questo che il sottotitolo dà valore al libro, ne moltiplica l’interesse, conferma l’onestà con cui è stato scritto. E vissuto. Quanto alla “vita sprecata”, spunto ripreso con brillanti argomentazioni da Paolo Morando in una bella recensione sul quotidiano “il T”, occorre intendersi. Perché è vero che altrove forse a Marco Boato si sarebbero aperte ben altre prospettive politiche (in Germania Joska Fischer, con un percorso non molto dissimile divenne vicecancelliere e ministro degli Esteri) ma è anche vero che a Boato questi traguardi di potere non interessavano poi tanto. Gli premeva, piuttosto, far maturare le coscienze dei suoi concittadini e dei suoi compagni, impostare più che gestire o dirigere la politica, e in questa dimensione il suo lascito è stato importante e resta tuttora presente, come un lievito che anima tutta la testimonianza sociale e quella che dovrebbe essere la dialettica politica, cosa ben diversa dallo scontro fra fazioni o i personalismi interessati.

Quanto alla sua vita “simbolicamente storia di uno spreco” occorre intendersi, perché sicuramente le sue qualità e vocazioni, in un differente contesto istituzionale avrebbero potuto (e forse ancora potrebbero) essere più compiutamente usate, ma se invece si vuole alludere che il suo impegno sia stato uno “spreco” perché non è riuscito a raggiungere i risultati che si proponeva, né sotto il profilo di cambiare la società, né in quello di ricomporla in un confronto di maggior giustizia, allora non si può essere d’accordo, perché Boato, nella sua azione giornaliera, ha dato e lasciato segni politici importanti pur senza rivestire posizioni di potere. Ha valorizzato gli elementi portanti, decisivi di Sociologia e del Sessantotto, rifiutandone gli alibi, che pur non mancavano, respingendo ogni tentazione di scorciatoie di violenza o di cadute nella provocazione (“e poi?”), che rischiavano di essere autoreferenziali o di suscitare rifiuti anche popolari (Pasolini). Candidato nel partito radicale pur non essendo mai stato radicale, è riuscito a impedire che una politica “di sinistra” si logorasse nel populismo e che la spinta verso i diritti civili diventasse strumentale e divisiva, invece che patrimonio di tutto il Paese.

Con “Lotta Continua” ha dimostrato che anche i movimenti di massa non possono essere spontaneisti, ma hanno bisogno di una classe dirigente preparata, senza dimenticare la Chiesa, di cui Boato seppe capire, e seguire, il ruolo civile, certo non solo devozionale, anche per la vicinanza all’arcivescovo “veneziano” Alessandro Maria Gottardi. In questo senso le giornate di Marco Boato, non sono andate sprecate, ma sono risultate vere lezioni di vita e di politica, testimonianze che ancora agiscono in profondità come semi di consapevolezza e di speranza, non solo per i giovani.

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