L’Università di Trento nella ricerca che fa “rivalutare” l’uomo di Neanderthal

© João Zilhão

Uno studio internazionale pubblicato sulla rivista scientifica Plos One fa “rivalutare” la figura dell’uomo di Neanderthal. Tra gli autori della ricerca c’è anche l’archeologo dell’Università di Trento Diego Angelucci.

Lo studio mette insieme gli indizi e i ritrovamenti raccolti nell’arco di oltre 20 anni di scavi archeologici condotti in una grotta del Portogallo centrale, e conferma una teoria maturata negli ultimi anni tra gli archeologi, che mette in dubbio la necessità di continuare a considerare Neanderthal e Homo sapiens come due specie diverse e non, invece, due forme della stessa specie.

Il fatto che i Neanderthal fossero in grado di strutturare un fuoco e di usarlo, tra le altre cose, per cucinare rivela infatti quanto fossero intelligenti. “È una conferma di quanto abbiamo già osservato e teorizzato in studi precedenti”, spiega l’archeologo Angelucci. “Padroneggiavano il pensiero simbolico, producevano oggetti artistici, sapevano prendersi cura del proprio corpo usando ornamenti e avevano una dieta estremamente variata. A queste informazioni si aggiunge ora il fatto che, dall’analisi dei ritrovamenti, riusciamo ad affermare con certezza che consumavamo abitualmente cibi cotti. Una abilità che conferma un livello di competenza analogo a quello dei sapiens vissuti millenni più tardi”.

©MuseoNeanderthal

Ma come si è scoperto che i Neanderthal sapevano gestire il fuoco? “L’archeologia moderna concorda sul fatto che lo conoscevano. Ma un conto è prendere il fuoco dalla natura in seguito a un incendio sviluppato naturalmente, ad esempio da un fulmine, un altro è ricrearlo, alimentarlo con il legname e usarlo per l’alimentazione, il calore o la difesa. In questo studio dimostriamo che senza alcun dubbio lo sapevano fare e che il fuoco era già un elemento centrale nella vita quotidiana”.

Gli scavi non sono ancora riusciti a spiegare come i Neanderthal accendessero il fuoco. “Forse – suggerisce Angelucci – come si faceva nel Neolitico battendo una selce su una roccia e producendo scintille che producevano l’innesco in altri oggetti, ad esempio un nido secco. Una tecnica preistorica che si è scoperta studiando Őtzi, l’uomo del Similaun. Ma al momento non abbiamo trovato evidenze”.

Il gruppo di ricerca dell’Università di Trento (Dipartimento di lettere e filosofia) si è occupato della stratigrafia del terreno e degli studi al microscopio. “Abbiamo seguito le tecniche dell’attuale archeologia interdisciplinare: studi preliminari sul luogo, scavo minuzioso posizionando tutti i reperti e setacciando sistematicamente tutto il terreno, metodica precisa di raccolta dei dati sul terreno, raccolta di campioni per la successiva analisi al microscopio o in laboratorio: questo tipo di archeologia viene portata avanti con le metodologie più avanzate. Richiedono tempo e risorse e sono quelle che insistiamo a insegnare ai nostri studenti”, conclude Angelucci.

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