“La speranza che muove il mondo” sono i migranti, Passerini torna a raccontarne storie e testimonianze

“La terra dei nostri padri è un macello. / Vestiti di stracci, in grandi greggi, noi, carichi di un incredibile dolore, ci recammo nella terra grande e lontana. / Alcuni di noi affogarono davvero. / Alcuni di noi morirono davvero di stenti. / Ma per ogni dieci che morirono un migliaio sopravvisse e tenne duro. / Meglio affogare nell’oceano che essere strangolati dalla miseria. / Meglio ingannarsi da sé che essere ingannati dai lupi. [i lupi sono quelli che ti sfruttano e ti opprimono nel tuo Paese] / Meglio morire a modo nostro che essere peggio delle bestie”. Sono gli ultimi versi del Canto degli emigranti. È di fine Ottocento, ma sembra scritto oggi.

Un’indistruttibile speranza spinge da sempre i migranti ad affrontare i pericoli. L’ignoto. Il salto nel buio. Per lasciarsi alle spalle guerre, persecuzioni, miserie, mancanza di futuro. E cercare vita e futuro altrove. È questa indistruttibile speranza che muove il mondo. E che lo salva. Sì. Le nostre società che salvano e accolgono i profughi e che si aprono ai migranti saranno salvate da loro.

Vincenzo Passerini, autore da anni particolarmente attento a questo tema – tra i suoi titoli Ricordati che sei stato straniero anche tu (2015), La solitudine di Omran, con Giorgio Romagnoni (2018), Tempi feroci (2019). -, torna a raccontare storie, esperienze e testimonianze che compongono il variegato mosaico del popolo migrante.

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