Chi vuol abolire la Regione vorrebbe scardinare tutto

lo spunto

La proposta, avanzata da una parte dei consiglieri della Provincia di Bolzano di mettere all’ordine del giorno del prossimo consiglio regionale l’abolizione della Regione stessa per quanto velleitario e provocatorio è pericolosa, perché traduce un’intenzionalità sbagliata, ma che oggi appare plausibile proprio per la debolezza intrinseca nella quale l’ente regionale versa. Eppure questa sorta di vecchia e abbandonata casa di famiglia appare, proprio per le contingenze storiche che stiamo attraversando, ancora essenziale, sia per Trento che per Bolzano: e ancora una volta per motivi diversi. In una fase dell’imminente rideterminazione dell’intero sistema delle autonomie regionali, il Trentino rischia infatti di rimanere appiattito sul panorama nazionale .
Ancora acerba e non consolidata l’attuale leadership leghista, inoltre, per non essere risucchiata a traino della locomotiva forte e sperimentata che invece governa da decenni il Lombardo Veneto. Per contro le forti difficoltà politiche interne nelle quali è costretto attualmente a dibattersi un uomo pur intelligente e capace come Arno Kompatscher, espongono l’Alto Adige ben al di là delle semplificate presunzioni di Freiheltichen e soci – a un’inevitabile fragilità. Compresso dalle logiche di un’Europa in piena regressione politica nella quale difficilmente la stazza estremamente ridotta del Sudtirolo può consentirgli di costruire un’autonoma posizione rispetto all’attuale Austria e alle dinamiche bavaresi. Ecco perché, invece di indulgere nella sin troppo facile e demagogica tentazione di far chiudere i battenti alla Regione, sarà forse il caso di ingegnarsi per trovare la via, se non di rilanciarla, almeno di conservarla.

Andrea Zanotti

A conclusione del suo editoriale su “Il Corriere del Trentino” del 14 gennaio scorso dal titolo “La Regione non è un pacco”, il prof. Andrea Zanotti osservava: “Non è questo il momento di sganciamenti avventati, e merita ricordarlo a chi mira a definire la Regione un”simulacro inutile” perché la politica, come la realtà, vive e si nutre anche di contenuti simbolici e soprattutto della capacità, come insegnava Magnago, di trasformarli in forza”.
Occorre essere chiari su questo punto, senza timore di risultare espliciti. Chi mira a cancellare la Regione, chi vuole la sua eutanasia dopo averla calunniata per anni come “ente inutile”, mentre non lo era affatto costituendo invece la cornice ordinatoria di tutto lo scenario storico e territoriale autonomistico riconoscibile a livello nazionale ed europeo, non lo fa per semplificare, razionalizzare o risparmiare risorse (che potrebbero comunque essere suddivise) e neppure solo per abolire un simbolo, ma per scardinare tutto l’impianto autonomistico di Trento e Bolzano, con la pacificazione che ha portato nelle due Province alpine, la pace europea che ha consentito, il benessere delle comunità locali che ha promosso, posto che anche la “seconda autonomia” quella attualmente in vigore, è il frutto del “superamento” della Regione, non della sua abolizione.
La Regione fa parte di una equilibrata costruzione tripolare dell’autonomia, abolirla sarebbe come togliere una gamba allo sgabello su cui ci si trova seduti, con la conseguenza di cadere tutti per terra. Nel fare da cornice alle competenze provinciali, la Regione consente di interfacciarsi con le altre realtà nazionali ed europee, aggancia l’autonomia ai riconoscimenti internazionali che derivano dal patto De Gasperi Gruber e dal trattato di Parigi, poi ripreso con una valenza politica e diplomatica ancora maggiore nella quietanza liberatoria.
Già si è visto nel recente passato quale errore politico sia stato differenziare i sistemi elettorali fra Trento e Bolzano (e di questo le forze politiche trentine portano una grande responsabilità), tanto da rendere evidente come abolire la Regione significherebbe di fatto indebolire le due Province, renderle davvero succubi della peggior politica romana, come s’è visto in questi ultimi mesi post-elettorali, con le maggioranze provinciali decise nei palazzi romani e le forze politiche locali costrette a farsi portavoce di quelle nazionali. La cosa appare tanto più negativa in quanto Bolzano non ha più nulla da temere che la Regione si riveli il cavallo di Troia di una predominanza italiana sulle competenze sudtirolesi, mentre appare sempre più evidente come le nuove sfide che le autonomie debbono affrontare, e basta riferirsi ai trasporti transfrontalieri, alla finanza internazionale, le risorse idroelettriche, abbiano bisogno di una “terza sponda” fra mondo italiano e tedesco.
C’è un’altra ragione, ed essa consiste nella credibilità europea che la “terza sponda regionale” consente alle autonomie provinciali. La Regione rafforza l’Euregio non ne è un doppione, non la sostituisce, ed è per questo, per una questione di sostanza politica, non solo di carte diplomatiche che l’impianto autonomistico fra Italia e Austria si legittima meritevole di tutela internazionale.
Nelle zone di confine, multilinguistiche e di minoranze, infatti, il “terzo polo” (e va pur rimarcata, soprattutto in questa difficile fase politica italiana la “specialità” delle autonomie sudtilorese e trentina, che non sono una sommatoria di competenze o un decentramento amministrativo) serve a mostrare che è possibile e di fatto funziona una reale convivenza fra le popolazioni. Ognuno è padrone in casa propria (e questo è stato il risultato più importante), ma esistono le volontà e gli strumenti di incontri di collaborazione, di relazioni, di reciproche conoscenze. Ecco la “specialità” che dà una dimensione internazionale alle autonomie, una specialità che va difesa, non demagogicamente strumentalizzata e vilipesa.
I temi di incontro non mancano, dalla possibilità che hanno i consiglieri di conoscersi personalmente, all’opportunità dei funzionari di imparare dalle esperienze reciproche. Il Trentino ad esempio ha tutto da imparare dai forestali altoatesini nella tutela dei boschi, dei pascoli e di chi li lavora (i forestali sono i custodi dell’ambiente e il supporto delle popolazioni di montagna, non i poliziotti dei boschi) mentre frontiere impensabili si aprono anche per la sanità e per la cooperazione. La Regione va ripensata, non abolita.

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