Alta politica e politica di (cattiva) routine

Per quanto possa sembrare strano, nei giorni scorsi c’è stato un tentativo di fare alta politica confuso con il fluire della solita politica politicante. Alla prima tipologia va ascritta la riunione a Roma di vertici africani ed europei per dare corpo al cosiddetto piano Mattei. Alla seconda le solite baruffe sui posti da spartirsi (al teatro di Roma, ma non solo) con coda di polemichette sulla occupazione della Rai cavalcate dalla segretaria del PD.
Il giudizio sul piano Mattei deve essere necessariamente cauto: siamo ancora in una fase progettuale in cui è più l’annuncio che la sostanza. Però questo è per certi versi inevitabile quando ci si impegna in progetti di grande respiro e tale è il disegno di prendere di petto il problema della situazione attuale dell’Africa, un continente con enormi potenzialità, ma attanagliato da disfunzioni, crisi, e instabilità. In queste si stanno inserendo sia potenze come la Russia e soprattutto la Cina, sia stati desiderosi di espansioni più limitate, ma non meno inquietanti, come la Turchia e alcuni paesi arabi. Sul fronte opposto c’è un’Europa non proprio unita e anche in alcuni casi abbastanza timorosa, per usare un eufemismo, dell’intraprendenza italiana. Di conseguenza sarà necessario vedere se le iniziative avviate potranno davvero decollare e se il governo italiano sarà in grado di allargare la compagnia che tenta questa complicata impresa.
Ciò detto, non si può però liquidare semplicisticamente quel che si è messo in cantiere come pura operazione di propaganda. Se ci fosse un concorso di tutti a pressare il governo per fare di questa occasione qualcosa di solido, se ci si impegnasse tutti a lavorare per tessere una rete di solidarietà europea (sperando che non ci sia un esito delle prossime elezioni USA che si mette di traverso), si potrebbe ricavare un vantaggio per il nostro paese: qualcosa che se in prima istanza andrà in gran parte a beneficio del governo attuale, potrà essere un patrimonio utilizzabile da successivi governi anche di altro colore politico. Del resto la continuità nella politica estera, quando essa è ben impostata, è una caratteristica storica in tutti i cambi di maggioranza di governo, in alcuni casi persino di regime.
Certo per avere questa solidità di impianto sarebbe necessario avere classi politiche più strutturate e consapevoli di quelle che in generale sono disponibili a destra come a sinistra. Purtroppo impazza la politica politicante: lotte di sottopotere per spartirsi poltrone ed occupare gangli più o meno significativi del sistema pubblico e tripudio di vecchi mantra che si pensa ringalluzziranno i vari fan-club della nostra scena pubblica.
È uno spettacolo triste vedere i rispettivi piagnistei di maggioranza e opposizione. La prima sempre lì a sventolare la leggenda del polo escluso, che finalmente può aspirare ad un riconoscimento ingiustamente negatole per decenni. La seconda a lamentarsi del fascismo alle porte che occupa tutto l’occupabile come se essa quando era al potere avesse fatto cose radicalmente diverse. Per carità, si può discutere su come sono state fatte le acquisizioni in nome di quella che ciascuno riteneva una legittima primazia culturale: in alcuni casi per promuovere persone di qualità, in altri casi per sistemare portaborse, il tutto con un bel contorno di personaggi che si convertivano opportunisticamente al potente di turno.
Questo andazzo è purtroppo ben noto all’opinione pubblica e infatti Giuseppe Conte, che per questa roba ha fiuto, si è subito dissociato dall’ennesima iniziativa banalmente movimentista della Schlein col suo sit-in per protestare contro la colonizzazione della Rai da parte della destra. Ha giustamente fatto notare che la gente non si commuove per un fenomeno che era già in essere e che ora ha solo cambiato di segno. Peraltro ha evitato di dire (ma glielo ha rinfacciato Renzi) che M5S quando ha potuto non si è tirato indietro nel profittare della spartizione delle spoglie, anzi continua a farlo se solo ne ha l’opportunità.
Sarebbe ora di far uscire la nostra politica dalle lotte di fazione che non sono più ammissibili per i tempi calamitosi verso cui sembra ci avviamo. Un serio discorso generale sulla nostra politica estera potrebbe essere il terreno adatto per cercare un colpo d’ala tanto nella maggioranza che nell’opposizione, ma perché ciò si realizzi, vista l’ampia dose di politici di basso profilo con cui abbiamo a che fare, sarebbe necessario che almeno nei ceti dirigenti si lavorasse per liberarci dalla palude della politica politicante.

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