Tra cooperare e condividere non c’è contrapposizione

lo spunto

Esprimiamo il nostro apprezzamento per gli auguri di Buone Feste che la Cooperazione Trentina ha gentilmente rivolto a noi soci. Tuttavia, desideriamo esprimere una riflessione riguardo al nuovo slogan adottato per l’occasione: «Il futuro è condivisione». Apprezziamo l’intento di promuovere l’idea di condivisione, ma preferiremmo il vecchio ma pur sempre valido «cooperare» al verbo condividere. Perché riflette l’azione di lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune, mentre «condivisione» può implicare la distribuzione di qualcosa tra gli individui, senza necessariamente indicare uno sforzo collaborativo. Inoltre, cooperare sottolinea il processo collaborativo, mentre la condivisione mette l’accento sulla partecipazione e sulla distribuzione di qualcosa tra i partecipanti. Ecco non vorremmo che, viste le prospettive non proprio rosee emerse dai bilanci delle recenti assemblee delle cooperative agricole, trovarci, dicevamo, un giorno a dover «condividere» a sorpresa, bilanci delle nostre coop in passivo come del resto già successo. Lavis docet.
Per evitare sgradevoli sorprese suggeriamo alcune azioni preventive, come l’organizzazione di incontri periodici con i soci durante l’anno per informarli sull’andamento del bilancio e per poi affrontare tematiche irrisolte. (…) Riteniamo cruciale poi affrontare il tema del limite ai mandati. Cerchiamo invece di dare la possibilità a tutti i soci di partecipare alla gestione della propria società.

Lettera firmata

 

Durante le feste natalizie alcuni soci cooperatori hanno inviato ai giornali questa lettera. La riproponiamo oggi dopo la protesta del mondo agricolo anche trentino, con la giornata che ha visto i trattori scendere nelle strade, segno del rifiuto di una politica europea che non tiene conto delle esigenze dell’agricoltura di montagna e della difficoltà che i suoi mercati incontrano, anche per il perdurare di guerre che non vedono un adeguato impegno politico e internazionale da parte delle comunità, perché trovino sbocco nella pace, o almeno in un concreto “cessate il fuoco”. Poi si parla di carne artificiale e Intelligenza Artificiale, senza rendersi conto che ad essere carente non è tanto l’innovazione tecnologica, ma un semplice buon senso di convivenza.

Lasciamo perdere almeno per un po’ l’artificialità, con la diffidenza (armi guidate da I.A.?), i timori e anche il disgusto che essa può provocare (nessuno di noi andrà mai a fare acquisti di carne in provetta: proporre pasticche invece di bistecche significa solo voler cancellare il lavoro di chi si impegna nel settore, allevatori e macellai già lo presentono), così come la razionalizzazione dei sistemi produttivi che ha quale primo nemico proprio il mondo del lavoro. S’è già capito.

È legittimo quindi porsi la domanda se occorra lavorare cooperando (e valorizzando quindi il lavoro) o se è più equo adottare una logica distributiva e suddividere le risorse esistenti. Senza voler considerare il periodo natalizio in cui gli auguri sono stati rivolti ai soci (fra doni, mercatini e cenoni è proprio del Natale condividere ciò che si ha, non solo per proprio merito) e senza tener conto che le società con meno povertà sono quelle con le differenze di reddito minori al loro interno, e quindi con le maggiori “condivisioni”, merita forse riflettere sul fatto che cooperare e condividere sono realtà meno lontane di quanto appaia a prima vista.

Giusto insistere nel cooperare nel sostenere il primato del lavoro, del lavorare insieme, nel costruire e fare prima di spartire, ma l’esperienza ha dimostrato che cooperare non è una tendenza insita nell’uomo, richiede alcune premesse di valore e di cultura e fra queste c’è quella di “condividere” determinate idealità, di cristianità anche, va pur detto senza timore. Non è un caso che la cooperazione nei nostri territori sia nata per impulso di un pastore protestante (Raiffeisen) e di un curato cattolico (don Guetti), come non è un caso che un affermato economista come Luigino Bruni, rispondendo a “101 domande su Chiara Lubich” nell’interessantissimo libro che porta questo titolo, che proprio l’editrice di Vita Trentina ha recentemente pubblicato col marchio ViTrenD, sostenga, approfondendo la non facile tematica dell’“Economia di comunione” prospettata e proposta proprio dal Movimento dei Focolari, come il “male sociale della povertà” non si superi solo con iniziative pragmatiche o investimenti monetari, ma accogliendo la richiesta di inclusione, di essere accolti, amati, di non sentirsi reietti sotto il profilo umano, che dai poveri e dalla povertà proviene. Dal sentire che c’è qualcuno non solo che li aiuta, ma che condivide il loro destino. Ecco il significato vero – spiega Luigino Bruni – del francescano “bacio al lebbroso”, ecco il senso profondo dell’Economia di comunione che merita di essere approfondita ed esplorata, anche nei suoi aspetti più problematici, proprio dal mondo cooperativo. Ma anche su un terreno più concreto, quello del “fare”, del lavorare insieme, “condividere” appare necessario. Per risolvere insieme le situazioni di crisi, per aiutarsi l’un l’altro, perché l’autonomia nel cooperare non diventi una guerra fra poveri, perché ci si salva tutti insieme, o si impoverisce tutti, insieme.

Non a caso, del resto, nella sua storia la Cooperazione s’è attrezzata con strumenti precisi, finanziari e normativi, per poter intervenire in caso di necessità. La dimensione mutualistica è profondamente connessa all’impegno del cooperare. Né basta qualche corso di aggiornamento per preparare una classe dirigente adeguata ad affrontare i complessi problemi che operare sul mercato presenta oggi. Se poi occorre intervenire sugli stessi mercati per promuovere qualche produzione specifica, rilanciarla o scoraggiare qualche cooperativa dal fare il passo più lungo della gamba, oppure compiere più approfondite opere di informazione, si tratta allora di coinvolgere più cooperative insieme, con investimenti e costi: ciò comporta un “condividere” non solo progettuale e conferma che la “condivisione” può (o forse deve) essere considerata parte di una mentalità cooperativa e componente del sistema cooperativo.

Occorre anche aiutare le cooperative (e pensiamo in modo specifico a quelle di consumo, le “Famiglie” nei paesi e nei quartieri urbani, soggette a concorrenze incrociate fortissime) a risolvere insieme, anche con una sponda di appoggio civile pubblico (orari, contratti di lavoro…) i loro problemi. Cooperare è anche sapere (e far sapere) di non essere lasciati soli nelle difficoltà.

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