Giornata del Malato. L’arcivescovo Lauro: “Ho negli occhi le loro lacrime e la loro paura, ma ogni volta ne esco rafforzato”

“Dopo che sono stato a celebrare al Santa Chiara e al San Camillo ho negli occhi le lacrime di tanti di loro, la paura di alcuni che si apprestano a concludere i loro giorni, l’affidamento di altri che mi hanno detto ‘preghi per me’. Fa bene incontrare il mondo della malattia, perché ti riporta nel reale, ti ricorda l’essenziale per la vita. Ringraziamo il Signore anche per i tanti operatori sanitari: ogni volta che entro negli ospedali esco rinforzato perché è incredibile quanto loro stanno facendo, accanto ai tanti volontari, da Ospitalità Tridentina all’Avulls che operano nel silenzio”. La Messa presieduta dall’arcivescovo Lauro nella chiesa di Santa Maria Maggiore conclude, nella serata di domenica 11 febbraio, una intensa XXXII Giornata Mondiale del Malato aperta dalla visita ai due ospedali del capoluogo.

Nell’omelia, commentando il Vangelo della guarigione del lebbroso, don Lauro ne individua l’”icona dell’uomo e della donna tagliati fuori dalla comunità, che conoscono il morso della solitudine: vi vedo i giovani che non escono più di casa, la durezza delle giornate degli anziani non visitati da nessuno, il dramma di tanti malati psichici apparentemente sani, ma con un tasso d’angoscia paragonabile a un malato oncologico”. “Il lebbroso – nota l’Arcivescovo – non domanda di essere guarito, domanda il ritorno in comunità, il poter riassaporare la relazione e incontrare di nuovo il volto degli altri. Un’indicazione fortissima: la felicità è direttamente proporzionale alla presenza di volti che tu riesci ad amare e che a loro volta ti amano. Lontano dalle stanze dell’amore e dell’abbraccio non c’è felicità. Non c’è alternativa all’incontro. Chi non ama non è felice.

Don Lauro denuncia lo “sdoganamento dell’odio come valore in sé”, vera “bomba atomica che prelude a un futuro devastante”, dove “una macchina artificiale pianificherà le future guerre e senza nessuna coscienza si dirigerà a uccidere”. “Perché investire su Gesù Cristo?”, si chiede a questo punto l’Arcivescovo. “Perché – è la risposta – non abbiamo alternativa all’amare. Tutti nella nostra relazionalità, abbiamo della tossicità e andiamo a cercare l’altro per noi nel bisogno di consumare gli affetti. E invece l’uomo di Nazaret più lo guardo e più mi scalda il cuore perché è fuori dai parametri del religioso. E ci dice: ascolta l’altro, comincia la relazione lasciando che l’altro entri dentro di te, altrimenti non lo incontri davvero e ti precludi la felicità”.

“Chiedo al Signore – conclude Tisi – che possiamo fare tutti l’esperienza che per fortuna c’è un Dio che può toccare anche noi, le nostre lebbre e solitudini: questo Dio si chiama Gesù Cristo”. A concelebrare con il vescovo Lauro anche don Mauro Leonardelli, delegato dell’Area Testimonianza della Diocesi, padre Fausto Negrini e don Franco Torresani, entrambi in rappresentanza dei cappellani ospedalieri.

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