La gran commedia della politica attende il voto in Europa

Sempre più l’appuntamento delle elezioni europee si configura come un elemento negativo per lo sviluppo della nostra vita politica. Non per il contenuto in sé, perché siamo convinti che la UE sia una componente importante del nostro futuro, ma per il significato distorto che ha assunto di fungere da test sulla tenuta e sul peso dei nostri partiti politici in lotta tra loro.
Non si spiega quanto sta avvenendo se non partendo dalla ossessione che hanno tutti i partiti e i partitini presenti sulla scena di raccogliere il massimo possibile dei voti, non per contare in Europa, ma per garantirsi un posto nella zuffa politica italiana. La incredibile commedia andata in scena in Basilicata nell’ambito delle forze che si oppongono alla maggioranza di governo è tutta da leggere alla luce di una politica che è quasi riduttivo definire bizantina. Conte è interessato solo a non perdere pezzi del suo composito e confuso elettorato in vista di posizionarsi bene per concorrere ad una futura leadership del cosiddetto campo largo. A questo fine predilige ruoli che accentuino la sua diversità da tutto il resto, vincere o perdere alle elezioni regionali gli interessa poco.
Elly Schlein è chiusa nella improbabile rappresentazione della promotrice della grande ammucchiata che, nel vecchio stile dell’antiberlusconismo, dovrebbe unire semplicemente tutti sotto l’imperativo di battere il demone della destra. Non può fare una politica diversa, perché a questo proposito non ha idee, né esperienze da mettere in campo. Del resto se abbandona quel ruolo non avrà futuro in un partito che ha conquistato con un colpo di mano fortuito grazie al sostegno di un po’ di opinionismo dei media, ma che non può governare a lungo basandosi solo su quello.
In questa tensione tra i due partiti relativamente maggiori, i vari partitini cercano di ritagliarsi qualche parte in commedia. L’estrema sinistra lo fa cavalcando un po’ di passioni elementari e di riflessi automatici che rimangono in frange dell’elettorato sia post-comunista sia tardo-grillino. I due gruppi di “centro” stanno spaccandosi fra il movimentismo corsaro di Renzi, che punta più che altro al ruolo suo e di un gruppetto di sodali, e la ricerca di Calenda, che appare sempre più velleitaria, di presentarsi come l’unico che sa davvero ragionare di politica: il che è abbastanza vero in termini di visioni generali, ma è del tutto falso come capacità di organizzare una forza e una azione che sia in grado di inserirsi nella vita politica contingente.
Si può osservare che la situazione è presente in maniera speculare nel destra-centro.
Anche qui spiegano se non tutto, molto le parti che ciascuno si è scelto nella gran commedia della politica che attende le elezioni europee. Salvini, che vede sempre più un declino del suo progetto, o per meglio dire del suo sogno politico, punta solo a tenere la scena con fuochi d’artificio vari. L’ultimo è la sua uscita a sostegno della vittoria di Putin nelle elezioni russe, una mossa che mette in difficoltà il governo di cui pure è vicepresidente.
Si dirà che tutti sanno che sono sparate propagandistiche, ed è vero, ma è altrettanto noto che quelli che non amano la prospettiva di un’Italia che possa avere un ruolo nel complicato scenario internazionale non avranno remore nell’agitare lo spettro del demagogo irresponsabile che rimane un pilastro del governo attuale.
È vero che proprio in contrapposizione a questo Tajani e la sua FI si sono ritagliati il ruolo della componente responsabile che può tenere a bada le sbandate populiste, ma è ancora dubbio che abbia la forza necessaria per farlo.
Dovrebbe essere in grado di piegare decisamente verso una caratterizzazione più centrista della destra di governo, ma per questo avrebbe bisogno di una più decisa collaborazione da parte di Giorgia Meloni, la quale sul punto è ancora più che incerta.
La premier al momento sembra giocare sull’ambiguità del suo ruolo: aspirante/apprendista statista di livello sulla scena internazionale costruendo agganci vari a livello UE e a livello “atlantico”, ancora agitatrice di folle quando deve parlare alle “gente” con cui fatica a non usare il linguaggio di un certo estremismo populista.
Anche in questa metà campo l’ottica è sempre quella di guadagnare il più possibile in termini di percentuali nelle urne europee, senza tenere conto che il Paese ha bisogno di ritrovare coesione e dialettica costruttiva almeno per sfruttare una contingenza in cui la nostra economia va relativamente bene in rapporto a quel che succede nei paesi nostri vicini.

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