A Pasqua non basta dire “pace, pace”…

Roma, 25 febbraio 2023. La Manifestazione per la Pace.

Lo spunto:
Anche per questa Pasqua i richiami che provengono dalla Chiesa e dai mezzi di comunicazione hanno come tema centrale la pace. La auspicano, la promuovono, ne fanno un augurio per tutta l’umanità. Questo a parole. Ma nella realtà dei fatti e dei comportamenti ovunque lo sguardo si giri trova la guerra. Fra i popoli e le nazioni, nelle ideologie fra i continenti, nelle società civili, fra partiti e interessi economici, all’interno delle stesse mura domestiche per il gran numero di femminicidi che spezzano la vita delle donne prefigurando quasi una guerra fra generi.
Cosa fare perché la pace torni a regnare nelle famiglie, nella società, fra le nazioni? Perché non sia una parola vuota? Perché Pasqua non diventi una festa solo di consumi?
Lettera firmata

La Santa Pasqua, come la chiamano i cristiani per porla su un piano spirituale, rispetto alle pur simpatiche tradizioni primaverili (uova, colomba…) fa memoria della morte e resurrezione di Cristo e del riscatto da Lui portato all’umanità. Ma rievoca anche – ne resta segno l’agnello di molti convivi familiari – la precedente Pasqua ebraica, intesa come liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in terra d’Egitto. Guerre e violenze che caratterizzano l’attuale momento storico confermano che è ancora lungo l’Esodo dell’umanità verso una Terra Promessa, intesa come condizione umana di concordia e di solidarietà.

Anche la Settimana Santa insiste sui valori di “dono e perdono” (come ha detto il Papa l’altra domenica) che la venuta di Cristo ha donato l’umanità. Pasqua non si esaurisce nell’invocare la pace, anche se proprio la pace è la meta più importante da raggiungere, come ricorda il saluto che caratterizza le prime apparizioni del Risorto (“La pace sia con voi”) e con cui ancora oggi i frati di Francesco si rivolgono alle famiglie (“Pace e bene!) non solo in Terra Santa dove si pongono come custodi e dove il trentino fr. Francesco Patton li rappresenta.

Non basta però dire “pace, pace”, occorre prepararla e prepararsi ad essa. Per questo la Pasqua, mai come in questo momento può – e forse deve – essere sentita come ricorrenza e impegno laico, non solo religioso. I riti della Settimana Santa, infatti, lontani da ogni devozionismo, si propongono come tappe e scalini di ascesa verso una comprensione di pace che deve maturare nel cuore di ogni uomo e donna, prima di potersi radicare nella società.

Si comincia con la domenica nella quale la gioia e il trionfo delle Palme cedono ben presto alla lettura del Passio. Una cronaca dell’arresto di Cristo, del suo processo e tortura che oggi suscita ancora i brividi. Appare attualissima a riascoltarla, racconta la condanna di un uomo giusto, un tradimento, un tragitto che vede il legno delle palme festose nelle vie di Gerusalemme tramutarsi in quello della croce sul Calvario. Evidenzia la solitudine della vittima che si sente abbandonata da tutti: proprio da questo “abbandono”, che la fede degli uomini e delle donne è chiamata a colmare, nasce fra l’altro la spiritualità del Movimento dei Focolari che tanto si impegna per la fraternità universale e nella quotidianità dei luoghi di vita. Il Passio è di attualità bruciante, perché riguarda tutti gli innocenti perseguitati, spesso vittime del potere e della ragion di stato. Pilato potrebbe salvare il Cristo, ma segue il populismo della folla, non vuole assumersi responsabilità, libera Barabba e la tragedia del deicidio prosegue fino al Golgota, dove il centurione pagano per primo si accorge e proclama che l’Uomo messo a morte non è il presunto “re dei Giudei” indicato dal cartello sulla croce, ma il Figlio di Dio.

Il Passio prepara i due successivi momenti di ascesa, riflessione e preghiera: le Quarantore di adorazione comunitaria, le due Messe del Giovedì Santo e l’Azione liturgica del Venerdì Santo con la successiva Via Crucis.

La Messa della sera, “in Coena domini”, vede la lavanda dei piedi e fa memoria dell’Ultima Cena, con l’istituzione dell’Eucaristia, anche se una maggiore attenzione andrebbe attribuita (com’era in passato) alla Messa crismale, che al mattino riunisce con il loro vescovo i sacerdoti di tutta la diocesi quasi a dare testimonianza del vero ruolo che la Chiesa è chiamata a svolgere, non solo per rinnovare il mistero eucaristico, ma per testimoniare che la passione di Dio e degli uomini per il male e la violenza, non è un problema solo personale, da rinchiudere in un confessionale, ma viene da tutti condivisa, anche dal popolo di Dio chiamato a questo sacerdozio comune, di condivisione e di pace.

La Messa crismale, con le sue benedizioni dei segni della pietà quotidiana (e dei carismi che portano agli impegni e alle missioni di ciascuno, l’acqua, il fuoco, l’olio…) assume anche questo significato, la volontà di non lasciare solo il Cristo. Anche visivamente partecipare alla Messa crismale del mattino, insieme a tanti sacerdoti nella loro veste liturgica bianca, comunica il sentimento di “sentirsi Chiesa”, di appartenere a un corpo vivo da rendere ancora più vivo per il bene dell’umanità. Non membri di una istituzione, ma insieme in una comune coralità di speranza e di lode.

Eccoci al Venerdì Santo, il giorno in cui un tempo chiudevano in città i luoghi di intrattenimento.

Ora è diverso, ma continuano ad essere coperti (“chiusi”) nelle chiese i crocefissi sugli altari, mentre vengono spalancati, “vuoti”, i tabernacoli, perché è il giorno della morte di Cristo. Ma più che un Cristo morto i tabernacoli senza le particole consacrate del Giovedì Santo sembrano indicare un Cristo rubato, un Cristo che il male, ancora non vinto dalla resurrezione ha portato via agli uomini e alle donne del mondo.

È questo furto che la Via Crucis del Venerdì Santo vuole poi riparare, restituire. Essa riporta Cristo in mezzo alla sua umanità rendendo protagonisti della salita verso la croce gli uomini che hanno aiutato a portarla – e che ancora aiuteranno – insieme alle donne che mai hanno abbandonato il Cristo.

È importante e significativo che in questa prospettiva si stiano moltiplicando le Vie Crucis con meditazioni attualizzate dentro la storia di oggi, come quella dei giovani in val di Non nel ricordo delle vittime della mafia o come quella scritta dal direttore di Vita Trentina Diego Andreatta per il sito vinonuovo.it con le parole dei volontari e del presidente Mattarella a Trento. Ci ricordano che, in verità, Gesù non è solo sulla via della croce.

Le stazioni presentano il volontario Cireneo, la Veronica che gli asciugò il sangue dal volto, le donne e la Madre, chi lo rialza dalle cadute.

Sono piccoli gesti di pace dentro l’immane tragedia, ma sono questi i gesti che anticipano la vera pace, che preparano anche oggi la resurrezione di un Gesù che il potere e i filosofi vogliono morto, che gli uomini e le donne che Lui ha amato sentono vivo e che porterà la vera pace nei suoi primi saluti da Risorto, a Pasqua.

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