Ai vecchi tempi, quelli della Prima Repubblica, in una situazione come quella che vive oggi il governo si sarebbe parlato di “verifica”.
Cioè i membri della coalizione di maggioranza si sarebbero messi intorno ad un qualche tavolo per accordarsi su come porre fine alle concorrenze reciproche. Si terminava per lo più, a volte dopo lunghi tira e molla, con una crisi di governo che portava ad un nuovo esecutivo: a volte rivedendo le formule di coalizione, a volte semplicemente ridefinendo gli equilibri interni fra le correnti dei partiti di maggioranza.
Una simile procedura oggi è esclusa, nonostante le divergenze fra il partito di maggioranza relativa, FdI, e la Lega siano molto pesanti. Cinicamente si potrebbe dire che in realtà non si tratta di divergenze sulle cose da fare, ma di scontri di linea politica, dovuti all’irrefrenabile protagonismo della demagogia di Salvini. Questo spiegherebbe perché la premier può limitarsi a qualche segno di insofferenza senza spingersi oltre. In realtà le cose sono ben più complicate.
Le divergenze di linea fra Salvini e Meloni riguardano la politica estera e la politica europea, due terreni molto scivolosi e con ricadute che vanno ben al di là della semplice rincorsa al palcoscenico dei teatrini politici. La scelta atlantica della leader di FdI è una componente essenziale della sua legittimazione a livello Nato, ma anche a livello UE. È grazie a questa che Meloni può puntare ad avere un ruolo come personaggio chiave di una destra che vuol far parte del sistema tradizionale in cui ha sempre vissuto l’Italia e per questo come un interlocutore interessante tanto in Europa quanto in America. Il putinismo di Salvini, per quanto ambiguo e parolaio, così come il suo schierarsi non solo per Trump, ma per una certa interpretazione di Trump (che sarà tutta da verificare una volta che questi fosse eletto presidente), mina la credibilità del posizionamento della premier e di conseguenza indebolisce molto le capacità di azione e di negoziato dell’Italia.
Un ragionamento astratto porterebbe a dire che sia nell’interesse di Meloni sbarazzarsi di Salvini, ma c’è il piccolo particolare che non è in grado di farlo.
Cacciare la Lega dall’attuale maggioranza comporterebbe la caduta del governo senza che si possa immaginare come sarebbe possibile ricostruire una coalizione di destra-centro, visto che al momento le possibilità di puntare su una rivolta interna della Lega contro il suo imbarazzante “capitano” sono più che minime. Parallelamente neppure Salvini è in grado di produrre un cambiamento di equilibri nella maggioranza.
Il suo partito è troppo distante dalle percentuali di FdI (una ventina di punti: 8% contro 28%); nel partito della premier non c’è nessuno che possa sostituirla al comando; per lui non ci sono possibilità
di alleanze alternative. I dividendi che la partecipazione al governo assicura alla Lega sono notevoli, perché i posti da spartire sono tanti ed evidentemente Salvini non ha alcuna intenzione di rinunciarci. Del resto ripete continuamente che il governo andrà avanti sino a fine legislatura.
Si può concludere che la situazione politica è destinata a rimanere intrappolata nel teatrino attuale che la costringe da vari punti di vista ad una navigazione a vista? È quello che pensano alcuni osservatori, i quali dimenticano che le situazioni in bilico non è detto che non soccombano a qualche evento imprevisto.
Lasciamo da parte per una volta il contesto internazionale, da cui pure ci possiamo aspettare degli scossoni, e vediamo alcune situazioni che sono sul tappeto.
Prima di tutto c’è la questione delle cosiddette riforme istituzionali. Qui ci si sta incartando più di quel che non appaia e non tanto per le mosse da agitazione populista delle opposizioni.
La riforma Calderoli presenta problemi di incostituzionalità che sono ben più difficili da gestire di un referendum. La maggioranza di governo spera di arginarle gestendo, malamente in modo inaccettabile, la successione di 4 membri della Corte (uno già scaduto da mesi, altri tre in scadenza a fine anno), ma non ci sembra una buona tattica. Sul premierato hanno dovuto riaprire il confronto, perché il tema della connessa legge elettorale è complesso da gestire soprattutto in presenza, ancora una volta, dei diversi appetiti dei partiti della coalizione (che intralciano ben più delle barricate di una parte delle opposizioni).
E poi ci sono le elezioni regionali che incombono in autunno, dove il destra-centro (Lega in specie) è messo male. Ci sembra abbastanza per aspettarsi al minimo qualche ulteriore scossa sussultoria nel nostro quadro politico.
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