In vendemmia, generazioni in dialogo

Ore 6.30, l’alba è ancora lontana. In strada, solo i semafori lampeggianti ad accompagnarmi al campo. Tra i filari ritrovo le stesse persone di quando vendemmiavo ai tempi dell’università, come se le stagioni non fossero mai trascorse. Mentre le saluto, ho già in mano una forbice, perché in campagna non si perde tempo in convenevoli: zac zac zac. Questo suono accompagna ogni giorno anche di questa vendemmia, il rito autunnale che scandisce il ritmo delle vite. Più dei vini bevuti, delle cene di San Silvestro o delle vacanze estive, ci segnano questi giorni appiccicosi e tutti uguali, a sudare sotto le viti e a lanciare grappoli nei cassoni.

Col filtrare dei primi raggi tra foglie e grappoli riesco a mettere a fuoco i compagni di vendemmia, silenti e sonnambuli fino a quel momento. Il sole risveglia i ritmi circadiani dei non-pensionati ed appaiono quindi gli studenti universitari, in corso, fuori corso e persino neolaureati, a sfatare i miti sull’occupazione giovanile facile. Zac, zac, zac. E s’intrecciano dialoghi fra generazioni, amarcord e progetti, condivisi in un dialetto universale.

Tuttavia, nell’arco della mattinata, saranno i giovani a sembrare più stanchi degli anziani e a reclamare una pausa. Si scontrano due approcci lavorativi agli antipodi: per gli uni è il primo lavoro, per gli altri l’ultimo di una lunga carriera. Per tutti una fatica sporca, il sole implacabile su terreni scoscesi. Vige la regola del “non ci si può fermare, né lamentare” per i pensionati che “attaccano” l’ennesimo filare spinti da un’efficientissima fretta di finire, mentre i giovani, staccati di qualche metro, riposano senza vergogna.

Tra una cesta svuotata ed una riempita, non si bada alla qualità del vino prodotto, conta solo finire i filari: vederli spogli di tutta quell’uva ci regala una sensazione di compiutezza e consente di misurare il lavoro in chili, oltre che in ore. Se poi nello staff c’è una presenza femminile, a metà mattina ci scappa pure una fetta di torta accompagnata dal caffè della thermos. Altrimenti arriva solo il caffè, comunque essenziale per proseguire. Zac, zac, zac, forbici in mano, ma anche din, don, dan. I giorni della vendemmia sono scanditi dalle campane: quando ai rintocchi si unisce la sirena del mezzogiorno, è ora di fermarsi per il pranzo (al sacco). Poi il pomeriggio, che sarà azzurro e lungo, ma forse più lungo che azzurro; con i suoi silenzi, accompagnerà i vendemmiatori alla fine della giornata e verso un “arrivederci” incerto, condizionato dal meteo di domani e dalla maturazione delle uve misurata secondo parametri incomprensibili per chi distingue soltanto i grappoli bianchi e quelli viola.

L’operazione della raccolta – lo avvertiamo anche noi giovani- racchiude un qualcosa di primordiale: l’uomo riconnesso alla terra, i contadini alla vigna, il vino al terroir. E noi vendemmiatori possiamo riscoprirci allora come un anello di congiunzione, nel legame ancestrale tra l’umanità che abita la terra e l’ambiente stesso, da custodire e non solo da spremere.

È sera. A fine giornata i trattori si riversano in strada per consegnare le uve in cantina con i loro rimorchi carichi di fatica, chiacchiere, Chardonnay base spumante, silenzi, pause, Pinot Grigio, previsioni meteo, confidenze e zac zaz zac.

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