Parte la prima Visita del dopo pandemia

Per dare il via, sabato 12 ottobre, alla prima Visita pastorale del suo episcopato, mons. Lauro Tisi ha scelto un santuario popolare della val di Cembra, “alla Madonna dell’Aiuto” di Segonzano. Siamo in un angolo periferico della Zona pastorale nella quale l’Arcivescovo spazierà poi per cinque mesi ed è facile cogliere in questa preferenza alla “periferia” il riferimento esplicito ad una delle opzioni ecclesiali più rivoluzionarie del Papa scelto 11 anni fa “dai confini del mondo”. Ma la stessa modalità inedita della Visita pastorale predisposta da don Lauro con i suoi collaboratori risponde ai criteri-cardine del magistero di papa Francesco: il desiderio d’incontrare le persone là dove vivono, la priorità agli ammalati e alle situazioni di fragilità, l’attivazione delle comunità nell’ascolto di se stesse, la rinuncia ad incontrare “ufficialmente” gli amministratori locali (con i quali il Vescovo comunque avrà modo di dialogare) e quella curiosa scelta di non preavvisare la località in cui ogni domenica presiederà la Santa Messa (sarà l’opportunità di condividere il vissuto domenicale nella normalità del “Giorno del Signore”, fotografandone anche gli aspetti più o meno positivi).

Questi tratti bergogliani della visita di Tisi porteranno forse un giorno gli storici a riconoscere che il (quasi) sessantaduenne vescovo Lauro mette i passi sulle orme del “suo” papa Francesco, così come un tempo mons. Alessandro Maria Gottardi impostò la terza Visita nel solco tutto conciliare dei papi Roncalli e Montini. A ben guardare anche Giovanni Maria Sartori si riferì al lungo magistero di Wojtyla e l’emerito Luigi Bressan seppe valorizzare a suo tempo le intuizioni potenti di Ratinzger.

Ma se volessimo – senza negare le sorprese dello Spirito – pronosticare in anticipo un elemento caratterizzante di questa ricognizione pastorale avviata nella Zona Rotaliana – Terre dell’Avisio e Paganella – potremmo dirci che si tratta della prima Visita pastorale dopo la pandemia.

Già, questa pandemia ancora così vicina e così tremendamente lontana: un evento globale ed epocale che ha ci ha travolto anche con forti conseguenze sulla vita spirituale, personale e comunitaria. Oggi tendiamo spesso sbrigativamente a enfatizzarle (“il virus ha allontanato la gente dalle chiese, ora non vi rientra più”) oppure a minimizzarle (“nulla è cambiato, siamo tornati a fare tutto come prima”), senza mai richiamare alcuni riflessi di breve o lungo periodo riscontrabili anche nella chiesa di San Vigilio.

È emersa l’importanza dell’azione di cura fisica e anche spirituale offerta dal personale sanitario e – in vari modi – di una riscoperta della dimensione religiosa. Secondo la teologa vicentina Assunta Steccanella, che ha dedicato a questo aspetto un denso capitolo del suo recente saggio “Segni dei tempi. Dialogo fra Vangelo e storia”, ritiene che “la pandemia ha riportato alla luce la nostra fragilità” (quella che vorremmo volentieri dimenticare o non riconoscere) provocando in tutti un’apertura alla compassione. “La fragilità – continua la teologa – dice del limite strutturale e dell’incertezza che ci segnano, implica il costante bisogno di cura, la necessità di trovare conforto, aiuto nella relazione con l’altro, con gli altri”.

Non possiamo non dimenticare quindi l’apertura al trascendente, che ha guidato tanti operatori e ha segnato tante persone, non solo anziane: si saranno svuotati, viene da dire, le chiese e i confessionali, ma molte persone sono andate a grattare il fondo della propria umanità, hanno scoperto insieme la propria finitezza ma anche il desiderio di una destinazione felice. In questi primi anni post pandemia si registra un’onda lunga di questo bisogno di spiritualità. Lo osserva anche l’Arcivescovo nell’apertura del suo messaggio per la Visita pastorale, riconoscendovi uno degli aspetti del “cambiamento d’epoca” da avvicinare con fiducia e speranza nel Signore della storia. Il metodo per la preparazione della Visita, “copiato” dal card. Martini, spinge le nostre parrocchie a fare confessione di fede, di riconoscenza e anche dei propri limiti. Significa guardare prima all’abbondanza della messe che alla scarsità degli operai, imponendosi un realismo intelligente, ma scelte essenziali: “Questo vorrei per la nostra Chiesa: ne numeri ne ristrutturazioni magiche, ma essere piccola fiammella di speranza”, ha confidato nel ritiro ai suoi preti giovedì scorso (si veda a pag. 13 del settimanale e il testo completo nel sito diocesano), perché “l’azione pastorale può ruotare solamente attorno a questo: incontro con le persone, momento sulla Parola; questo è sufficiente, il resto si può lasciare”.

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