Lo spunto
Nel libro “Le Maestre” ci sono i miei ricordi di scolara, ma per un racconto di storie sulle insegnanti ho inserito frammenti di storie tratte da pubblicazioni, da documenti rintracciati personalmente o forniti dalle famiglie. Accostandomi a un tema quasi esclusivamente femminile desideravo imitare lo stile di quei deliziosi opuscoli che proponevano l’apprendimento dei cosiddetti “lavori donneschi”. Per questa ragione i testi sono come piccoli tasselli, imparaticci, piccoli racconti di nostalgia, ricami di racconti, il patrimonio tradizionale delle donne, vitale mescolanza e autentica energia della memoria da conservare.
Rosanna Cavallini
Il libro sulle maestre che Rosanna Cavallini ha scritto non è solo un racconto sugli anni di scuola e d’infanzia della pittrice, ma appunto, un ricamo sulle vite di queste donne, “le maestre” di scuola, che hanno saputo essere al tempo stesso, nel Novecento, avanguardie dell’emancipazione femminile e depositarie delle femminili, più antiche, sapienze.
“Sono nata col secolo”, ci ripeteva sempre, da ragazzi, una nostra zia maestra, perché non scordassimo che lei le “rivoluzioni” del secolo breve le aveva vissute in prima persona: tagliarsi i lunghi capelli, studiare più e meglio dei ragazzi, farsi indipendente dalla famiglia o sostenerla col suo lavoro. Le “Magistrali” erano scuole severe, col latino da imparare sul serio, con una formazione umanistica e filosofica piena, e in più il disegno, e il canto, e la pedagogia- psicologia, assenti, chissà perché dai licei. O forse proprio perché considerati donneschi?
Ma in questi lavori sta soprattutto quell’antica sapienza femminile che regge la società e forma le civiltà, della quale Rosanna Cavallini è andata in cerca fin dalla giovinezza. Prima esprimendola nella pittura, poi con l’affascinante raccolta di lavori del Museo Casa Andriollo, a Olle Valsugana, diventati quindi patrimonio collettivo. Non a caso il libro “Le Maestre” è pubblicato dalla casa editrice Athesia di Bolzano, la città dove Rosanna Cavallini, rivana di origine, visse a lungo (il padre era “proto”, dell’“Alto Adige”, responsabile della tipografia del quotidiano) ed espose le sue prime opere di pittrice. E dove ancora oggi resta vivo il ricordo delle sue mostre alla Galleria Domenicani con la innovativa e rivelatrice prospettiva delle sue figure femminili, così lontane da ogni stereotipo di mode o manierismi. La donna nella pittura della Cavallini trasmette la vita e tramanda la Storia, elaborando per questo anche linguaggi suoi particolari, come sono i ricami dei costumi contadini, o le piccole, intense, miniature sacre dipinte dalle monache dei conventi. Oppure i merletti, anch’essi un linguaggio, “inventati” dalle dame veneziane del Rinascimento, autentici messaggi grafici nella loro elaborazione, per non dimenticare i lavori a maglia delle nostre mamme e nonne, cordiali capolavori che nascono da un filo di lana e dalla sua storia: i fili che diventano gomitolo da una matassa ingarbugliata per poi affidarsi a due duri ferri che li intrecciano e li trasformano in coperture e ornamenti ai corpi di uomini e donne, diventando essi stessi pezzi della loro vita. Intrecciare i fili di un gomitolo è un po’ come intrecciare le giornate di una vita e l’intreccio richiede pazienza e manualità, abilità ed esercizio con attenzione di mente e di cuore nel contare i punti, ma anche nell’amare l’uso che poi ne farà il destinatario del lavoro. Ecco, il fascino del libro sulle maestre sta nel suggerire un’assonanza fra questi lavori di sapienza e dedizione e il ruolo delle “maestre” nei primi anni di scuola alle bambine e ai bambini, nel passaggio decisivo dal mondo degli affetti familiari a quello delle relazioni interpersonali. L’insegnamento delle maestre (e ad esse andranno poi affiancati i “maestri”, gli anni delle elementari sono i più importanti) non è una trasmissione di nozioni, ma un’iniziazione a linguaggi che consentano poi la costruzione di personalità capaci di curiosità verso il mondo fuori di sé e libertà dentro di sé. Ma libertà, appunto, non è sopraffare, come ben sanno le donne, né prevalere o prevaricare. È potersi esprimere, sapendo rifiutare condizionamenti, distorsioni consumistiche, strumentalizzazioni. È usare nell’insegnamento le sapienze che consentono di fare delle giovani vite un intreccio virtuoso, invece di lasciarne i fili ingarbugliati.
In questo senso questo nuovo libro si propone come riflessione sull’essere donne libere ieri e oggi, ma anche come una lunga “didascalia” a tutte le sue opere di ricerca pittorica ed espositiva. Donne padrone di se stesse e della loro vita, che sanno donare e donarsi, che vedono l’uomo come compagno, non come antagonista, che sanno accoglierlo anche con le sue ferite, che sanno sostenerlo, ma anche redarguirlo e ammonirlo dopo le sue cadute o mancanze, proprio come le maestre sanno fare con i bambini e le bambine.
Fra le maestre eroiche raccontate nel libro, la scrittrice non dimentica quelle degli alunni profughi con le famiglie in Austria e Moravia. Insegnarono alle nuove generazioni trentine non solo a leggere e a scrivere, ma a cantare una speranza di futuro.
Non si trova “la maestrina dalla penna rossa” nel libro di Cavallini: piuttosto, s’incontrano figure anche severe che incutono un po’ di soggezione come facevano le maestre vere, perché sapevano che il loro ruolo non era quello di fare la “vice mamma”, ma di preparare gli scolari alle relazioni col mondo, ed anche ai silenzi e alle inevitabili solitudini; sapevano che le risorse interiori vengono anche, o forse soprattutto, dall’essere educati, a conoscere i propri limiti e rispettare gli altri. Tanto che nel libro ci sono i genitori che scrivevano alle maestre perché punissero i loro figli quando si erano comportati male.
Un libro da leggere perché ognuno possa ricordare le “sue” maestre, dalle quali, ha ancora da imparare, oltre a ringraziarle. Ed anche per trar lo spunto dalle immagini di vita che l’autrice nelle sue pagine suggerisce per preparare con più fiducia e speranza il futuro.
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