Una maggioranza coesa? Non proprio, a ben vedere

La prima pagina del quotidiano “Il Foglio” di martedì 26 novembre

La tesi per cui l’attuale maggioranza di governo sarebbe molto coesa al contrario dell’opposizione di centrosinistra non è davvero convincente. Certamente il potere la obbliga a stare insieme, perché nessuna delle forze che la compongono avrebbe fuori di essa una alternativa di governo.

Tuttavia l’obbligo di stare insieme non esclude che ciascuno provi a tirare la corda per conquistarsi qualche consenso in più rispetto agli attuali compagni di viaggio. La posizione più confortevole è, per ovvie ragioni, quella di FdI: si tratta del partito di gran lunga più forte (vale più del triplo di ciascuno degli altri due), ma anche del partito della premier, che se in politica interna non è che brilli di luce intensa, in politica internazionale si sta guadagnando uno status e un credito su cui pochi avrebbero scommesso quando era arrivata a sedere a palazzo Chigi.

La concorrenza è pesante fra la Lega e Forza Italia. Il primo è un partito in continua caduta, vittima delle demagogie di Salvini, mentre le prese di distanza delle sue migliori classi dirigenti del Nord non sono in grado di imporre una immagine che riconquisti i consensi passati che aveva nei ceti medi produttivi. Il secondo è un partito che era stato dato frettolosamente per morto dopo la scomparsa di Berlusconi e che invece si è rivelato essere un partito meno “di plastica” di quel che voleva una antica retorica. Oggi non solo nei sondaggi nazionali, che contano fino ad un certo punto, è pari o un pelo avanti alla Lega, ma soprattutto nelle prove elettorali amministrative, dove ci sono voti veri, quasi ovunque ha superato, talora surclassato il vecchio carroccio.

I due contendenti non possono stare fermi perché sanno benissimo che il 2025 sarà un anno decisivo: si vota per le regionali in Veneto, contesto cruciale per la Lega; si vota per le comunali a Milano, terreno chiave per la proposta “moderata” di FI. Non solo lì ci saranno elezioni, ma abbiamo citato due casi simbolici. Peraltro dovunque si apriranno le urne ci sarà una conta dei consensi che metterà di fronte il partito di Salvini e quello di Tajani: la spartizione dei ruoli e dei pesi nel governo di destra-centro si determinerà sulla base di quei risultati. E siccome questi arriveranno nella tarda primavera prossima, sulla base di questi assetti si giocherà la partita sempre importante del bilancio dello Stato per il 2026, che come da prassi andrà fatto entro la fine dell’anno precedente. Tenete conto che il 2026 sarà, se non succedono imprevisti, l’anno finale prima del ritorno alle urne nazionali nell’anno seguente.

Ci rendiamo conto che all’osservatore normale sembra uno scenario di cui non ha senso occuparsi oggi, ma la classe politica vive ormai in una bolla schizofrenica, per cui da un lato si occupa solo di quanto potrà accadere domani mattina, e dall’altro ragiona in prospettiva di quel che potrà accadere allo scadere della legislatura. Sono queste due prospettive che spiegano la corsa insensata agli emendamenti della finanziaria, corsa che vede le scintille nello scontro fra Lega e FI. Un osservatore non prevenuto non può fare a meno di notare che è una gara a distribuire piccoli, per quanto in genere costosi, regalucci a questa o a quella fascia di opinione pubblica.

La Lega vuole tenere basso il canone RAI, dare ulteriori bonus fiscali qui e là, senza rinunciare ad aumentare il finanziamento per il faraonico ponte sullo Stretto. Forza Italia non vuole un basso canone TV che teme si pagherebbe con un potenziamento della RAI nel mercato pubblicitario a scapito di Mediaset (non lo dice così, ma tutti lo sanno), mentre punta ad un aumento delle pensioni minime e ad una riforma fiscale di taglio più generale a favore del ceto medio.

La linea di difesa del governo era sbattere in faccia ai questuanti che non ci sono soldi, ma adesso si vocifera che in realtà, un po’ per qualche successo nella lotta all’evasione fiscale, un po’ per qualche gettito maggiore del previsto, qualche risorsa ci sarebbe. Qui però i duellanti si scontrano con l’interesse di Giorgia Meloni, la quale per difendere il buon posizionamento internazionale che si è costruita ha bisogno di mostrare che è in grado di promuovere una politica di bilancio rigorosa e lontana dai nostri vecchi vizi. Certo anche lei ha bisogno di qualche concessione per distribuire mance al suo elettorato, ma meno di altri, perché è in grado di sfruttare la buona immagine e il credito che le derivano dalla sua presenza internazionale.

La coesione della maggioranza di governo non è più senza rischi e questo qualche problema per il nostro paese non mancherà di portarlo.

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