Lo spunto
Ho letto con interesse “Sentieri” dell’ultimo Vita Trentina sulla raccolta di “lezioni degasperiane” curata dal prof. Tognon. Ma mi ha un po’ stupito quando de Battaglia afferma di considerare l’Accordo con Gruber il “capolavoro dello statista”. Ma come? De Gasperi viene lodato e celebrato ovunque, ma non in Alto Adige dove la classe dirigente della Svp e di altri partiti di lingua tedesca gli rimprovera ancora la prima Regione e proprio la “cornice” nella quale si è poi realizzata l’autonomia. Anche l’annuncio dell’avvio del processo di beatificazione ha incontrato l’ostilità sudtirolese, tanto che l’iter si è di fatto bloccato. Forse i successi maggiori di De Gasperi vanno ricercati altrove, nella ricostruzione italiana e nella costruzione europea.
Lettera firmata (Trento)
Sicuramente l’eredità di Alcide De Gasperi, che molte forze politiche si contendono, sta nell’aver dato alla Repubblica italiana, nata come riscatto dal fascismo, l’attuale cornice (“frame”) costituzionale e democratica, così come la costruzione europea, tuttora incompiuta, si deve ai suoi contatti diretti con due altri statisti di ispirazione cristiana, Adenauer e Schuman. Non può non colpire chi ripercorre quelle pagine di storia come il trentino Alcide De Gasperi si sia messo in gioco personalmente, incontrandosi a Parigi con il tirolese Gruber nel 1946, a guerra appena conclusa, con il Paese sconfitto e ridotto a macerie. E come con Gruber abbia stilato un accordo che riconosceva l’autonomia del Sudtirolo e della popolazione di lingua tedesca, in una cornice che comprendeva anche il Trentino, per sottolineare la lunga storia, gli interessi e le vocazioni comuni di queste province “chiave” per i rapporti con il mondo tedesco, ma anche con tutto l’ambito mitteleuropeo. Basti pensare alle relazioni intense fra Trentino e Boemia, con Praga. I “tedeschi” erano stati il nemico storico dell’Italia lungo tutto l’Ottocento e il Risorgimento, la Grande Guerra 1915-18, aveva insanguinato ulteriormente i rapporti con l’Austria dopo che le aspirazioni autonomistiche del Trentino, espresse già dall’abate Giovanni Battista a Prato alla Dieta di Francoforte nel 1848 erano state prima ignorate e poi respinte dalla stessa Vienna, dopo che il pangermanesimo aveva portato l’autonomismo a irrigidirsi nell’irredentismo. La Seconda guerra mondiale, con la subordinazione di Mussolini a Hitler e le “opzioni” in Alto Adige, tali da discriminare quella popolazione dividendo al loro interno le minoranze nello stesso Trentino, avevano poi acuito i risentimenti storici. Questi si erano ulteriormente aggravati dopo l’8 settembre 1943 quando il Trentino, con l’Alto Adige e il Bellunese era stato direttamente occupato dalle truppe tedesche diventando Alpenvorland, di fatto annesso al Reich nazista, con gli ufficiali e i militari dell’esercito italiano internati nei Lager nazisti. Fu questo lo scenario oscuro che venne rischiarato dall’incontro di Parigi, con l’Accordo fra De Gasperi e Gruber, l’incontro diretto fra i due statisti rappresentanti di due Paesi che erano stati nemici e sconfitti, la reciproca stretta di mano, la promessa alle popolazioni di superare le ombre passate per trovare, invece, una comune matrice di convivenza, valorizzando le buone volontà (‘ché queste, in fondo, sono l’Autonomia) a fronte dei rigurgiti degli irriducibili, dei nazionalismi che risultavano ancora stratificati in settori di opinione pubblica e di burocrazie statali da ambo le parti. L’Accordo, prima ancora di essere la premessa diplomatica per tutti i successivi passaggi verso le autonomie, ebbe una funzione liberatoria, segnando l’aprirsi di una fase politica ed amministrativa nuova, e al tempo stesso legittimando i due Paesi, Italia ed Austria, ad occuparsi delle province cuscinetto di Bolzano e Trento, avviando un percorso che sarebbe culminato in quella “Quietanza liberatoria” sottoscritta poi a Vienna al termine del lungo percorso che segnò l’istituzione della “seconda autonomia”, “dinamica”, perché la carta vincente fu quella di non imbalsamarla in un rigido formalismo normativo, ma di consentirle di adattarsi ai mutamenti delle situazioni geopolitiche ed economiche attraverso Norme di Attuazione raggiunte in modo paritetico. Ma nulla di tutto ciò sarebbe potuto avvenire senza la premessa di quel “patto” fra De Gasperi e Gruber, di quell’accordo liberatorio e soprattutto coraggioso. Perché i due statisti erano ben consapevoli dei rischi che la loro stretta di mano comportava, dell’ostracismo che sarebbe venuto dai settori più nazionalisti (o anche solo “nostalgici”) dei rispettivi Paesi. De Gasperi a Roma subì attacchi durissimi, fu definito “austriacante” e peggio, Gruber a Vienna fu penalizzato nella sua carriera politica, ma nessuno dei due rinnegò quel gesto. De Gasperi continuò la sua missione politica di riscatto morale e sociale d’Italia, così ben illustrata nella foto di copertina delle “lezioni” raccolte dal prof. Tognon, mentre Gruber, quando da Vienna si dirigeva in Spagna per le vacanze estive, si fermava sempre a Trento (all’Hotel Everest) non a Bolzano o a Verona. E rivendicava con chi lo incontrava ciò che aveva fatto per le due province “autonome”, cuscinetto fra mondo italiano e tedesco, non “ostaggio” dei rispettivi nazionalismi. Quell’Accordo resta così una lezione tanto più importante oggi fra tante guerre che fanno crescere risentimenti e odio fra i popoli, che avrebbero bisogno di leader capaci di dire “basta” superando il passato, disposti a stringersi la mano senza processare la storia.