“Bussare” alla Porta Santa ha un valore anche laico

24 dicembre 2024: Papa Francesco apre la Porta Santa di san Pietro dando inizio al Giubileo 2025 © Foto Vatican Media/SIR

Lo spunto

“Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù. A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta”.

Papa Francesco, 24 dicembre 2024

Ha trasmesso momenti d’emozione e di spiritualità l’apertura della Porta Santa nella basilica di San Pietro la sera della vigilia natalizia: l’avvio al Giubileo della Speranza – come l’ha definito papa Francesco -, una speranza non solo cristiana ma anche laica, posto che il silenzio che ha circondato i tocchi di Bergoglio sulla porta non poteva non richiamare il dettato evangelico “Bussate e vi sarà aperto”. Materializzando quasi le parole di Cristo, ma segnando al tempo stesso un invito ad essere e “farsi Chiesa” nei confronti di tutto il mondo che sta o si sente “fuori”.

È stato un aprirsi reciproco, quasi un abbraccio che porta con sé il perdonarsi, la remissione di debiti materiali pesanti, come indica la parabola, ma anche immateriali, mancanze e trasgressioni, nella fiducia di poter compiere insieme un cammino verso un mondo nuovo. Ed è proprio qui che sta la speranza, la ragione per cui tutti gli esseri del Creato sono invitati ad entrare nella porta che per loro si apre, per costruire insieme il “regno di Dio” nella storia, secondo quel contrappunto fra cielo e terra, fra armonia d’amore universale e comportamenti terreni che trova piena espressione nella preghiera semplice e fondamentale del Padre Nostro.

Per questo la Speranza, come ha sottolineato papa Francesco, non è un sogno astratto, una velleità, un’aspirazione confusa, ma un incontro concreto col Signore, creatore e custode della terra e della vita. Fin dalle sue origini ebraiche, il Giubileo ha avuto una funzione comunitaria nella remissione dei debiti e nel garantire un anno di riposo alla terra, ma così è anche oggi.

Se la remissione dei peccati individuali è assicurata dalla confessione, la convivenza umana può rinnovarsi nel mondo solo se tutti vengono coinvolti nel perdono, solo se le porte del riscatto si aprono per tutti. La stessa Chiesa si mette in gioco in questa apertura, chiedendo perdono delle sue debolezze, delle manchevolezze dei suoi uomini, dei suoi silenzi e sta proprio in questo il messaggio del Giubileo, con quella porta che si apre ”fra cielo e terra”: non ci si salva da soli dal male, dalle guerre, dalle distruzioni della natura e del creato, dagli attentati alla vita, occorre una comunione corale religiosa e laica insieme. E se la Chiesa si apre alle indulgenze, che non sono uno scambio, un “do ut des” monetizzabile con Dio, ma l’espressione della comunione dei santi, forse la più convincente ragione per credere, il legame fra chi è vivo sulla terra e chi ci ha preceduto con amore e vive ora nella luce universale dei cieli, il mondo laico, civile, ed anche politico è chiamato a riflettere sui debiti da sanare, sugli interessi ai Paesi poveri e impoveriti da rimettere, sulla pace da promuovere compiendo con coraggio il primo passo. Aprire le porte alla speranza diventa così aprirle alla pace con gli uomini e la natura creata, ed è significativo che i giubilei indetti dai pontefici più recenti sono stati tutti segnati dalla volontà di aprire porte di comunione di fronte di svolte della storia e problemi mondiali.

Benché il primo risalga al 1300, quando Dante datò il viaggio poetico universale della Divina Commedia, il Giubileo che segna l’apertura della nostra epoca può essere considerato quello del 1950 indetto da Pio XII, “l’anno del grande ritorno e del grande perdono – come lo chiamò il Pontefice – dopo le immani distruzioni della II Guerra mondiale”.

Nella Bolla di indizione, risalente al 26 maggio 1949 e firmata come “Pio vescovo, servo dei servi di Dio” (come vescovo di Roma quindi, ben prima del Concilio), Pio XII proponeva il Giubileo “per richiamare i cristiani all’espiazione delle loro colpe (dopo la guerra, ndr), all’emendazione della loro vita, ma anche a tendere alla virtù e alla santità, a perdonare e ricostruire”. “Distaccandosi dalle passeggere cose terrene – proseguiva – e volgendosi alle imperiture ed eterne si avrà l’auspicatissimo rinnovamento dei cuori da cui è lecito sperare che i costumi privati e pubblici si abbiano ad ispirare agli insegnamenti ed allo spirito del Vangelo”, la Porta Santa veniva aperta “per guardare avanti”. Veniva auspicato – c’erano già le avvisaglie della Guerra in Corea – “che ovunque, ma soprattutto in Palestina torni la tranquillità mediante una giusta composizione dei problemi e che “profughi e prigionieri tornino alle loro case”. L’invito era di recarsi in pellegrinaggio a Roma “che per ogni fedele è come la seconda patria”. Un richiamo alle radici del cristianesimo come fonte di ispirazione giubilare, che vale non solo per Roma, ma anche per le Chiese locali. Così le quattro chiese giubilari trentine scelte dalla Diocesi sono legate ai momenti del radicamento religioso e devozionale in questa terra: la cattedrale di San Vigilio dove il santo è sepolto, la chiesa di Spiazzo Rendena sorta sul luogo del martirio, Sanzeno con la basilica dei tre santi anauniensi, giovani venuti dalla Cappadocia per aiutare Vigilio nella sua predicazione e Montagnaga di Pinè, il santuario dedicato alla Comparsa della Madonna nel 1730.

Non occorre più che i pellegrinaggi a Roma siano a piedi, come per gli antichi pellegrini. Ci si può arrivare anche in treno, ma, come scrisse ancora Pio XII nel 1950, il viaggio non è da fare “con lo spirito di chi viaggia per diporto, ma con lo spirito di pietà che animava i pellegrini dei secoli scorso che venivano a Roma per lavare nelle lacrime i loro peccati e per implorare a Dio perdono e pace”. Anche in questo “ritorno alle origini” partecipare al giubileo è “farsi Chiesa”, sapere che non ci si riscatta da soli, né si rinnova il mondo se non insieme ai fratelli.

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